UE Schubertiade Bevagna29.10.17w(UNWEB) Un solo numero del catalogo cronologico di Otto E. Deutsch separa il Quintetto per Archi in Do Maggiore D956 dall’ultimo ciclo di Lieder, D957, noto come “Schwanengesang”, titolo apocrifo quanto mai suggestivo a testimonianza dell’estrema stagione creativa di Franz Schubert: il suo canto del cigno, appunto.

Il Quintetto, ultimato meno un paio di mesi prima della prematura morte del compositore austriaco, è per molti aspetti un “unicum”, e non solo in relazione alle altre composizioni schubertiane: l’organico, innanzi tutto, che segna una decisa rottura con la più frequentata – si vedano in proposito i sei Quintetti di Mozart e l’op.29 di Beethoven - formazione per archi con le due viole invece dei due violoncelli; ma anche, e soprattutto, per le dimensioni dell’opera stessa, che con la sua straordinaria durata, vicina all’ora di musica, supera la classica concezione cameristica della forma per inoltrarsi in un’autentica dimensione sinfonica testimoniata dalla evidente dilatazione delle forme nonché dalla concezione orchestrale della scrittura.

Composto dunque dunque in prossimità dell’epilogo dell’esperienza terrena di Schubert (che nell’Ottobre 1828 così scriveva all’editore Probst: “Ho finalmente terminato un quintetto per due violini, viola e due violoncelli”), l’opera universalmente considerato il capolavoro strumentale di Schubert, non venne tuttavia mai ascoltato dall’Autore. La prima esecuzione, infatti, si ebbe solo nel 1850 e la sua edizione a stampa in parti staccate nel 1853 (nel 1871, addirittura, la prima partitura), a riprova della difficoltà di diffusione e fruizione delle opere da camera dell’ultimo Schubert: tecnicamente troppo ardite e linguisticamente troppo complesse per le esigenze di consumo immediato e di gusto disimpegnato dell’epoca.

Quello che è considerato il testamento spirituale di Schubert, dunque, sceglie una tonalità espressiva più grave e calda rispetto ai consueti organici più brillanti, e lo fa affidandosi al timbro dei violoncelli insieme ad una scrittura – in particolare nel “Trio” del terzo movimento – che predilige i registri più bassi per tutti gli strumenti. Ma non solo; in quest’opera, che sembra voler continuare all’infinito il proprio canto, la classica dialettica formale che opponeva i temi caratteristicamente contrapposti, viene superata, sublimata si direbbe, in una superiore unità dove al conflitto si preferisce la continua germinazione creativa che supera senza contrapporre. Una dimensione astratta e metafisica, è stato scritto, che anticipa visioni ultraterrene.

Questo sublime messaggio consegnano gli Archi di UmbriaEnsemble (A. Cicillini e C. Rossi, violini; L. Ranieri, viola; M.C. Berioli e C. Bellavia, violoncelli) Domenica 29 Ottobre, con inizio alle ore 17 in punto, nel magnifico Teatro Torti di Bevagna.

Un gioiello nel gioiello, per una memoria imperitura