DSC02737(UNWEB) Spoleto. Il 2016 si stava chiudendo senza che nessuno avesse degnamente ricordato uno degli eventi centrali della storia della nostra Nazione. Infatti, 80 anni fa, l’Italia conquistava l’Impero d’Etiopia attraverso un’impegnativa Campagna militare, da tutti allora ritenuta impossibile da realizzare.

Invece, le cose andarono in modo diverso e, in sette mesi, si poneva fina a quello che giustamente è ricordato tra i più grandi conflitti coloniali della storia. Come dicevamo, nessuno ha pensato di ricordare quegli eventi in questo ottantennale, neanche per ripubblicare – come sovente si fa – studi del passato o, come si fa ancor più frequentemente, per biasimare e condannare il Ventennio attraverso luoghi comuni o falsità con i quali la vulgata antifascista nutre i libri di storia e giustifica se stessa. Nulla. Tutto sotto silenzio. Per cui assume un valore invero straordinario il convegno organizzato a Spoleto (Perugia) il 12 Novembre scorso, dal Circolo Culturale “Ezra Pound”. Il Presidente del centro culturale, la Prof.ssa Paola Ghini, ha voluto dedicare un’intera giornata di studi alla conquista dell’Abissinia con una duplice conferenza dal titolo: AOI, un ultimo vero Impero, 80 anni fa. Invitati per l’occasione il Dott. Pietro Cappellari e il Prof. Antonio Pantano.
Il convegno ha esaminato la necessità storica per l’Italia di proiettarsi verso l’Africa, una necessità che nacque proprio durante il Risorgimento. Questa parola deriva, infatti, da re-surgere, ossia tornare da morte a vita, riscoprendo quei fasti del passato che facevano dell’Italia una Nazione straordinaria, con un passato straordinario di cui gli Italiani erano gli eredi, di sangue e di cultura. Questo passato era indicato nei fasti di Roma, del suo Impero, e questa pesante eredità imponeva agli Italiani di essere degni eredi e, quindi, di diritto, artefici di un destino già segnato: quello di avere una “missione” e quello di esercitare un “primato” nel mondo. Questa “volontà di potenza” fu indirizzata dapprima nel realizzare l’Unità nazionale e, una volta questa raggiunta, fu proiettata nel Mediterraneo, il luogo in cui l’Italia doveva realizzare il suo imperium, il suo spazio vitale. E il Mediterraneo chiamò con se l’Africa e, in particolare, l’Africa Orientale le cui coste, con l’apertura del Canale di Suez, avevano assunto un’importanza strategica non secondaria.
L’Italia di fine ottocento, però, non fu all’altezza della missione affidatale e, complici i disastri di Dogali (1887), di Amba Alagi (1895) e di Adua (1896), non riuscì ad espandersi in quella meravigliosa terra che era l’Abissinia, limitandosi a trincerarsi nella colonia d’Eritrea, senza più ambizioni. Certo, si trattava di un’Italia debole strutturalmente, economicamente, ancora divisa al suo interno, con immani problemi di politica interna, mancante soprattutto di una coscienza nazionale comune. Si ricordi gli sciacalli della sinistra italiana scendere in strada dopo la mattanza di Adua al grido di «Viva Menilk!», con lo stesso sadismo con cui gli eredi d’oggi gridano «10, 100, 1.000, Nassiriya!».
Questo ritirarsi dalla scena internazionale, la triste rinuncia alla “missione” ed al “primato” da cui scaturì il nostro Risorgimento, non potè che segnare profondamente la storia della nostra Nazione. Ma il tempo avrebbe fatto giustizia di una classe politica imbelle e rinunciataria. I primi anni del secolo XX, portarono delle novità eclatanti, l’emergere di nuove aristocrazie politiche che scatenarono le prime agitazioni in un sistema destinato a crollare. La conquista della Libia (1912), opportunamente sottratta agli appetiti francesi e britannici, fece dell’Italia una Nazione a proiezioni coloniale (che nel contempo ingenerò il collasso dell’Impero Ottomano). E si tornò allora a guardare l’Africa Orientale. Dovettero passare ancora molti anni prima che, nell’Ottobre 1935, furono spezzate le “catene del timore” e si diede iniziò a quella esaltante Campagna militare conclusasi ufficialmente il 9 Maggio 1936 con la proclamazione dell’Impero.
Non fu certamente l’ultima guerra coloniale, la vanagloria di Mussolini, una vile aggressione contro uno Stato “indifeso”, la violenza di un Regime “liberticida”, come la nomenclatura bulgara che regna nelle università, nelle scuole e nei giornali tende a dipingere l’impresa africana dei Legionari fascisti. Fu il raggiungimento di una meta del Risorgimento italiano, fu l’esercitare quella “missione” e quel “primato” cantati dai profeti della Patria, fu un trionfo politico e militare. Ma fu soprattutto la rottura dell’iniquo equilibrio economico internazionale imposto al mondo dalla Gran Bretagna e dalla Francia.

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