Mons. Boccardo Messa del 29 marzo 2020 «Abbiamo ricevuto all’improvviso uno schiaffo brutale. Non sappiamo quanto durerà questa crisi, né dove ci porterà. Sappiamo, però, che non saremo più gli stessi di prima». Il Presule ogni sera, dal terrazzo del palazzo vescovile, benedice le case e gli abitanti della Diocesi

(UNWEB) In questo tempo di Coronavirus l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra mons. Renato Boccardo ha scritto una lettera alla comunità diocesana dei Santi Ponziano e Benedetto, Rita e Chiara della Croce.

Uno schiaffo brutale. «Abbiamo ricevuto all’improvviso – scrive il Presule - come uno schiaffo brutale: siamo stati costretti da un giorno all’altro a cambiare totalmente abitudini e consuetudini; a rimanere chiusi in casa, smarriti e preoccupati per il futuro; privati di una vicinanza, quella vera e reale, fatta di abbracci, di baci, di strette di mano. Ogni giorno possiamo constatare la fragilità e la precarietà dell’essere umano, nonostante gli impressionanti e meravigliosi progressi della scienza, della tecnica e della medicina. Anche il ritmo normale della vita cristiana è stato interrotto, con le celebrazioni eucaristiche domenicali e feriali che nutrono la fede e sostengono la carità; i diversi momenti di condivisone, formazione e fraternità».

Non saremo più quelli di prima. Mons. Boccardo, che dall’8 marzo scorso ogni giorno feriale alle 18.00 (i festivi alle 11.00) celebra la Messa dal Duomo di Spoleto e trasmessa in diretta sulla pagina Facebook della Diocesi, scrive che «Non sappiamo quanto durerà questa crisi, né dove ci porterà. Sappiamo, però, che non saremo più gli stessi di prima». E si domanda: «Cosa possiamo imparare da questa situazione? La solitudine e il silenzio che abitano le nostre giornate ci possono insegnare innanzitutto a coltivare uno sguardo contemplativo ed accogliente sulle persone, sulle vicende e sul mondo; a crescere nella pazienza rinunciando alla tentazione disumanizzante del “tutto subito”; a trovare libertà nella attenzione all’essenziale, non solo quanto all’avere ma anche quanto al fare: fare meno per imparare a fare meglio e insieme; assaporare la grazia della fraternità e dello stare in famiglia; coltivare relazioni gratuite, forti e durature, cementate dalla mutua accettazione e dal reciproco perdono; possiamo riscoprire la bellezza della sobrietà che fa posto alle gioie dell’interiorità, quelle che purificano lo spirito, liberano l’anima e restituiscono lucentezza allo sguardo».

La benedizione dal balconcino del palazzo vescovile. «Come ho confidato in occasione del X anniversario della mia presenza tra voi, dal balconcino del primo piano del palazzo vescovile traccio tutte le sere un segno di croce per invocare la benedizione di Dio su ogni casa e su ogni abitante della Diocesi. Contate su questo gesto orante, che assume in questi mesi una valenza particolare: vuole dire la sollecitudine, l'amicizia e la preghiera con le quali il Vescovo condivide con tutti i suoi diocesani il tempo della prova».