30d9e3b1 801e e609 e6e2 ae968d4056fd(UNWEB) Spoleto,  – Ultimo spettacolo di questa 65ma edizione ospitato presso gli spazi rinnovati dell'Auditorium della Stella, Toná (8 luglio ore 20.00, 9 luglio ore 17.00, 10 luglio ore 16.00) è una proposta scenica multidisciplinare che si allontana dalle narrazioni convenzionali e introduce lo spettatore in un'esperienza poetica che esplora la fugacità, la morte e la memoria.

In questo lavoro della compagnia di danza contemporanea La Phármaco, fondata nel 2009 dalla coreografa e danzatrice spagnola Luz Arcas, gli oggetti e i supporti scenici (il violino suonato dal vivo, il video, il corpo) sono attraversati dall'invisibile (musica, immagine, movimento) e scossi fino allo sfinimento: un eccesso di vita che finisce per esaurirli e restituirli all'inerte.

Con Toná, Luz Arcas affronta uno dei lavori più introspettivi della sua carriera, il risultato di un processo creativo che lei stessa definisce come una «liberazione».
«Tonà è nato durante i viaggi a Malaga per visitare mio padre, che era molto malato. Nella sua casa, dove sono cresciuta, ho riscoperto riferimenti, icone, simboli che avevo quasi dimenticato. Ho ricordato aneddoti e paure, ricollegandomi al folklore della mia infanzia. Ho voluto danzare un sentimento che è tipico di quel folklore: la morte come celebrazione della vita e catarsi individuale e collettiva».
La performance nasce dalla necessità di incarnare un'identità che non pretende di definirsi, legata organicamente alla memoria collettiva e all'immaginario popolare, con tutti i suoi conflitti. Una poesia che trasmette la carne, il polso vitale, piena di rabbia e di gioia, ma anche di pregiudizi e superstizioni. Un dolore antico e fertile che ci forma lentamente, fin dall'infanzia.
Un corpo riconciliato con le sue forze vitali, intrecciato con la malattia, la vecchiaia, la morte, e che si rapporta sfacciatamente ai simboli, per sporcarli, calpestarli, rinominarli, mentre grida: sono nostri, ci appartengono.

La danza di La Phármaco è uno stato che appartiene al corpo, che lo restituisce alla comunità – come i simboli o la memoria – e un luogo a cui si aspira e che si raggiunge dopo un rigoroso e raffinato progetto di addomesticamento.
«Alla danza dono la mia vita, il mio tempo, le mie ambizioni» – commenta la coreografa di Malaga – «ballo per appartenere a qualcosa che mi sovrasta, nel tempo e nello spazio, che è più grande di me, che mi accoglie e mi salva dall'individualismo selvaggio, dal tribalismo indifferente».