Mercurio(UNWEB) Perugia. “Il 28 aprile alle nove della sera riapriranno i ristoranti in tutta Italia. Forse per l’ultima volta. Sì, avete letto bene. E no, non siamo ubriachi. Tantomeno è in vista una cessazione anticipata del lockdown.

Si tratta di una clamorosa iniziativa lanciata attraverso i social network da un gruppo denominato Ho.re.ca. (acronimo che sta per Hotellerie-Restaurant-Café) che in poche ore, su iniziativa del giovane ristoratore viterbese Paolo Bianchini, ha raccolto un fiume di adesioni trasversali in tutta Italia.
Accendere le luci per accendere i riflettori sul comparto più esposto alle conseguenze della crisi epidemica – quello della ristorazione e della ricettività - e per impedire l’adozione di misure che soltanto una totale inconsapevolezza del funzionamento di queste realtà produttive potrebbe ispirare. E così ristoratori, agroristoratori, baristi, pasticceri e tutti gli esercenti del settore, uniti per la prima volta nella storia con gli esercenti dei locali di pubblico spettacolo, martedì 28 al grido di “Risorgiamo Italia” alzeranno le proprie serrande, accenderanno le insegne e le luci, piazzeranno un tavolino all’esterno, inonderanno la Rete di videomessaggi di sensibilizzazione, e il mattino successivo consegneranno la chiavi dell’attività al sindaco del proprio Comune, con il mandato di spedirle al premier Conte con una breve lettera di accompagnamento che suona più o meno così: “Nessuno di noi riaprirà per suicidarsi con le tue misure. Se le misure le decidi tu, la tassazione e le misure economiche le decidiamo noi, altrimenti dimenticatevi del nostro 30 per cento di Pil più l’indotto, perché noi restiamo a casa”.
Già, perché nel derby tra il riaprire e il non riaprire, sembra assente dai radar un dibattito serio sul punto davvero fondamentale: “come” riaprire per garantire la sicurezza senza che ciò comporti un suicidio per alcuni tipi di attività. Da qui, nei giorni in cui il presidente del Consiglio annuncia come imminente la presentazione del piano per la cosiddetta “fase 2”, la levata di scudi preventiva per avvisare che riaprire una struttura di ristorazione con la metà o un terzo dei coperti ma pretendendo il pagamento pieno delle spese per il personale, delle imposte e delle tariffe per servizi di cui si usufruisce in misura ridotta (ad esempio la raccolta dei rifiuti), e magari aggiungendo adempimenti ulteriori in termini di adeguamento e sanificazione, rappresenterebbe un suicidio per molte attività per le quali, a queste condizioni, non riaprire diventerebbe una opzione dolorosa ma preferibile per evitare il fallimento.
Da qui la mobilitazione spontanea di singoli e gruppi organizzati, confluiti in una federazione nazionale chiamata Movimento Imprese Ospitalità. “Il governo – afferma Bianchini - non può scaricare su di noi la riapertura per risparmiare qualche milione di euro di cassa integrazione”. Nessuna domanda di assistenzialismo, tengono a chiarire i promotori, ma la richiesta di essere coinvolti con la presentazione di dati oggettivi nelle scelte da assumere, affinché non si impongano misure economicamente e socialmente insostenibili. Per non parlare della situazione particolarmente pesante in aree già colpite da precedenti calamità. “Il settore della ristorazione e della ricettività – osserva l’imprenditore Daniele D’Angelo, portavoce di Ho.re.ca. per l’Abruzzo – vale il 30 per cento del Pil nazionale. I nostri sforzi hanno alimentato l’economia, le nostre tasse hanno mantenuto in piedi la macchina dello Stato. Ora lo Stato non può pensare, imponendoci misure restrittive a costi invariati, di scaricare su di noi il peso di un momento difficile. Le nostre spalle sono forti, ma chiederci il suicidio sarebbe troppo”.” Così dichiara, in una nota, Luca Valigi consigliere comunale di Perugia (Lega).