Intensificazione colturale, meccanizzazione, sostenibilità ambientale ed economica, prezzi più competitivi ma elevati standard di qualità e valorizzazione delle cultivar italiane i principali aspetti di un’olivicoltura moderna

Il sindaco Cardarelli: si e' parlato del passato e del presente, ma nella convinzione di poter gettare fin da oggi le basi solide per il futuro

(ASI) Spoleto. Si è tenuto il 13 e 14 novembre scorso al Teatro Caio Melisso di Spoleto l’incontro sul tema “Il rilancio dell’olivicoltura italiana: Aspetti tecnici e linee guida”, organizzato dall’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio e dal Comune di Spoleto, con la presenza di importanti esperti del settore, produttori, rappresentanti delle associa-zioni di categoria, istituzioni.
Il convegno è stato l’occasione per fotografare la situazione dell’olivicoltura italiana, con i suoi 160 milioni di olivi piantati su ben 1 milione e 150mila ettari di terreno in tutto lo stivale, 540 cultivar (di cui 200 caratterizzate nell’ambito del progetto Olviva), 42 Dop e 1 Igp.

“Gli elementi di conoscenza scaturiti dalle analisi e dalla documentazione presentate du-rante questa due giorni – sono state le parole del Sindaco Fabrizio Cardarelli – nel rappresentare e descrivere gli aspetti di criticità maggiormente collegati alla crisi che sta attraverso il settore olivicolo italiano, hanno permesso comunque di ragionare anche sulle possibili soluzioni da mettere in campo per superare questa situazione di stasi.
Si è trattato di un confronto impegnativo e di grande utilità, nel quale si è potuti entrare nel merito delle questioni ragionando sì del passato e del presente, ma nella convinzione di poter gettare fin da oggi delle basi solide per il futuro. L’auspicio è che occasioni come questa possano ripetersi sempre nella nostra città”.

Sul piano della produzione, l’Italia risulta essere il secondo produttore di olio al mon-do con 450mila tonnellate, dietro alla Spagna che di tonnellate ne produce oltre 1250. Ma la competitività dell’olio italiano sul mercato mondiale è decisamente in crisi da alcuni anni a questa parte. Del resto, il nostro paese è rimasto sostanzialmente fermo alla quantità prodotta nel quinquennio 1990/1994, laddove invece la Spagna è passata, tra il 2009 e il 2013 ad un +122,7% della produzione rispetto al periodo 1990/1994. Senza considerare, peraltro, che nello stesso periodo paesi non tradizionalmente vocati alla produzione olivicola come la Nuova Zelanda, la Cina, l’Argentina, il Sud Africa o il Cile hanno esteso la loro produzione nazionale, immettendosi nel mercato internazionale.
Il 75% della produzione italiana arriva da tre regioni: Puglia (172mila tonnellate pro-dotte nel 2014), Calabria (106) e Sicilia (41). L’Umbria si attesta al nono posto di questa classifica delle regioni, con solo 5mila tonnellate di olio prodotto, insieme a Basilicata, Molise e Liguria.
Se ci spostiamo invece, sul piano dell’import-export di olio, siamo secondi anche nell’esportazione -sempre dietro alla Spagna- con una media 2014 di 369mila tonnel-late di olio esportato, per un valore di oltre 1200 milioni di euro. Ma siamo anche il primo paese importatore di olio, con 550mila tonnellate (pari, in valore, a 1160 milioni di euro). Parte dell’olio che consumiamo arriva proprio dalla Spagna, che nel 2014 ci ha venduto quasi 560mila tonnellate di olio, seguita dalla Grecia (oltre 55mila tonnellate), dalla Tunisia (25mila) e dal Portogallo (20mila). Intanto il nostro olio si dirige, invece, verso gli Stati Uniti principalmente, che ne importano quasi il 29%, la Germania, la Francia e il Giappone.
Se non cambia qualcosa, dunque, secondo gli esperti riunitisi a Spoleto, il futuro per i produttori olivicoli italiani e l’intera filiera nazionale si prospetta ancora peggiore, con l’aumento dell’offerta quantitativa, ma anche qualitativa, da parte dei paesi concorrenti ed una conseguente, ulteriore perdita di quote di mercato per l’Italia.
Per scongiurare questa situazione si deve ricorrere, inevitabilmente ad una olivicoltura moderna, che si caratterizzi per elevata efficienza e costi di produzione inferiori a quelli attuali. In altri termini, è indispensabile che aumenti la produzione olivicola, attra-verso una gestione innovativa e meccanizzata degli impianti, che valorizzi, peraltro, le tante cultivar italiane.
Da un lato, dunque, un processo di intensificazione colturale che prevede, tra l’altro, l’aumento del numero di alberi ad ettaro e l’impiego dell’irrigazione.
Dall’altro, una riduzione dei costi che incidono di più sulla redditività degli oliveti, quali la raccolta e la potatura. La prima rappresenta, in media, il 29% del costo di produzione, arri-vando anche al 49% se fatta manualmente o riducendosi al 22 se meccanizzata. Per la potatura la percentuale è del 29% del costo di produzione. E’ evidente l’importanza di ri-durre l’incidenza di tali costi per aumentare la competitività della produzione italiana attra-verso la meccanizzazione di queste fasi.
Per la potatura, in particolare, come è stato evidenziato nell’ambito del convegno di Spo-leto, non esiste uno schema unico di potatura, che va “personalizzata” in base alle caratteristiche dell’oliveto. Tuttavia, è appurato che una potatura minima o semplificata risponde all’esigenza di assicurare una piena funzionalità delle chiome, di ridurre notevolmente i costi e di rispettare le norme in termini di sicurezza riducendo gli infortuni da caduta. Lo stesso dicasi per la raccolta che, meccanizzata, permette di ridurre il residuo in pianta e quindi, aumentare la resa dell’impianto stesso. In questo modo, si possono ridurre i prezzi, pur mantenendo inalterato il livello qualitativo del prodotto, tornando così ad essere competitivi sul mercato internazionale.
Tra le politiche concretamente da portare avanti, dunque, la costruzione di un valore differenziale del nostro olio di qualità dl campo alla bottiglia, investimenti in ricerca, innovazione e formazione, la razionalizzazione degli impianti e la sensibilizzazione sia della distribuzione che della ristorazione verso un nuovo modello di consumo di olio che favorisca le produzioni locali. Ben vengano anche appuntamenti specifici che promuovono le tipicità locali, permettendo al consumatore finale di conoscere meglio il prodotto e di essere più consapevole nel suo utilizzo.
In tutto ciò, un ruolo fondamentale lo svolge il settore pubblico che, nella consapevolezza del valore strategico che il settore olivicolo ha per il nostro paese a livello internazionale, è chiamato a sostenerlo attraverso finanziamenti mirati e politiche di supporto.
Il convegno di Spoleto, il primo di una serie di appuntamenti sul tema dell’olivicoltura che saranno organizzati nella cittadina umbra dall’Accademia, ha visto una partecipazione molto ampia e numerose occasioni di dibattito al termine di ciascuna sessione. Molte sono state le domande e i commenti ai diversi relatori, con interazioni frequenti anche al di fuori delle sessioni di lavoro.
“La formula organizzativa che ha previsto il coinvolgimento non solo di ricercatori del settore ma anche dei responsabili di associazioni di categoria, dirigenti del Mipaaf e imprenditori olivicoli -ha detto, al termine, il prof. Riccardo Gucci, presidente nazionale dell’Accademia dell’Olivo e dell’Olio- si e rivelata vincente per fornire, attraverso i contributi di tutti gli intervenuti, un quadro ampio ed approfondito delle esigenze e delle priorità dei diversi segmenti della filiera.”


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