3 maggio pomeriggio foto1(UNWEB) Perugia. L'Italia ormai dal 9 marzo è un Paese fermo. Il lockdown imposto dal Governo come misura di contenimento del contagio da Covid-19 ha imposto il fermo di molte attività produttive, smartworking, chiusura delle scuole. Tutti abbiamo dovuto far i conti con rinunce e cambiamenti, col distanziamento sociale, all'isolamento dai nostri affetti più cari, al sorridere con gli occhi dietro ad una mascherina.


Tali misure si sono rivelate senz'altro salvifiche sotto il punto di vista epidemiologico; senza di esse il tragico bilancio delle vittime ad oggi sarebbe ancor più drammatico. Se in un primo momento gli Italiani hanno risposto con forza, coraggio ed un filo di timido ottimismo, oggi a metà dell'ottava settimana di quarantena ed a pochi giorni dall'inizio della cd. "fase due" iniziano a farsi strada ansie, paure ed incertezza per il futuro.
Molti genitori devono far i conti con bambini a casa, alle prese con lezioni a distanza e lontani dai loro compagni, senza la possibilità di far affidamento su nonni o altri tipi di sostegno ed un lavoro da portare avanti. Se pensiamo che a questa situazione è accompagnata da dichiarazioni fumose delle istituzioni e, ad oggi, nessuna misura è prevista in vista nell’imminenza della graduale ripresa, la situazione appare ancor più preoccupante.
Se questi sentimenti accomunano gran parte dei cittadini, un'altra consistente fetta di popolazione, si stima il 7%, vive uno stato di sconforto e timore ancor più profondo: sono le famiglie dei ragazzi che convivono con disabilità di varia natura e diverse gravità e che non possono al momento avvalersi del sostegno di centri diurni e degli operatori del sociale.
Le criticità che da più parti sono state rilevate riguardano diversi ambiti della vita quotidiana e gettano i familiari in uno stato di preoccupazione e stress oltre che fisico anche e soprattutto emotivo. Il venir meno di una routine in qualche modo rassicurante, che scandiva le vite di questi ragazzi e dei loro genitori e che consentiva loro condizioni di vita non certo semplici ma sicuramente più serene, rappresenta una doccia fredda per tantissime famiglie.
Da più parti i familiari lamentano nervosismo crescente tra i loro ragazzi, crisi talvolta difficili da contenere, problemi ad adeguarsi a misure telematiche di apprendimento, il vivere nell'isolamento e nel distanziamento sociale. I rischi di un simile stop sono molteplici, al punto di poter drammaticamente ipotizzare anche una regressione nel percorso dei singoli individui nella conquista di condizioni di vita dignitose, di forme di autonomia spesso faticosamente raggiunte negli anni.
Se da un lato i familiari devono potersi avvalere di assistenza che consenta loro di poter svolgere attività lavorativa (si pensi ad esempio al disagio ancor più grande di coordinare i tempi di vita e lavoro laddove si abbia a che fare con famiglie monogenitoriali!), dall'altro anche i ragazzi hanno la necessità di fare esperienze e vivere secondo modalità che al momento sono loro negate.
Inoltre, paradossalmente, anche una lunga e protratta convivenza "forzata" con la famiglia rischia di poter condurre ad una recrudescenza di "sintomi" da dipendenza affettiva che minano pericolosamente ogni eventuale percorso intrapreso in un'ottica di una vita quanto più indipendente possibile.
I timori sono alimentati da un imbarazzante silenzio istituzionale sui temi della disabilità al tempo del coronavirus, istituzioni che non possono limitarsi a consentire passeggiate anche oltre i 200 metri dalla propria abitazione, ma devono affrontare con interventi, risorse e misure serie le problematiche sorte e quelle che sono destinate a sorgere.
Nel pensare la fase 2, si dovrà tenere in conto anche i diritti delle persone con disabilità. Secondo le associazioni sono diverse le priorità da tenere in considerazione. Intanto, sarà necessario fornire un servizio di assistenza domiciliare a tutti quei soggetti che ne hanno bisogno per vivere dignitosamente e permettere una effettiva inclusione e continuità scolastica, anche grazie al potenziamento reale della didattica a distanza che in questi mesi le famiglie hanno dovuto affrontare da sole, senza l’aiuto di operatori che avrebbero potuto supportare i ragazzi. Occorrerà poi adottare misure di sostegno per le “Politiche sociali e socio-sanitarie”, investendo ad esempio maggiori risorse per aumentare il Fondo Non Autosufficienza (FNA), e dare “risposte chiare con i protocolli da seguire per quando verranno riaperti i Centri diurni per disabili (Cdd)” che sono stati chiusi con il Decreto “cura ITALIA”.
Sarebbe auspicabile dunque costituire anche in questo caso una task force, tra le tante già costituite per far fronte all'emergenza, per l'adozione di provvedimenti e la messa in pratica di azioni incisive che possano dar sollievo a queste famiglie che al momento sempre più si sentono abbandonate, e speranza ai tanti ragazzi che spesso possiedono risorse inimmaginabili e che ancor di più, al pari di altre, saranno necessarie al Paese per rimettersi in piedi e ripartire.


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