BoriIl capogruppo del Partito democratico a Palazzo Cesaroni, Tommaso Bori, annuncia la presentazione di una mozione per impegnare la Giunta regionale a “mettere in campo azioni amministrative e scelte politiche finalizzate alla valorizzazione del titolo di dottorato e Agenzie strumentali al fine di contribuire al miglioramento della Pubblica amministrazione umbra”.

 

(UNWEB) Perugia,  - “Mettere in campo azioni amministrative e scelte politiche finalizzate alla valorizzazione del titolo di dottorato e di specializzazione, introducendo agevolazioni per l’ingresso nella Regione e nelle agenzie strumentali al fine di contribuire al miglioramento della Pubblica amministrazione umbra”. Lo propone, con una mozione alla Giunta regionale di cui annuncia la presentazione, il capogruppo del Partito democratico a Palazzo Cesaroni, Tommaso Bori.

Nell’atto di indirizzo, il consigliere di opposizione sottolinea che “sostenere il mondo della ricerca e della formazione universitaria ed essere a fianco di chi sceglie i nostri Atenei è fondamentale se si vuole assicurare una crescita economica e uno sviluppo qualificato del nostro territorio. La Regione Umbria, da sempre attenta garante dei diritti legati al mondo dello studio e della formazione post-universitaria, deve affrontare un difficile scenario che rischia di vedere disperdere persone formate nelle nostre università ed ha il dovere di fare la sua parte e di intervenire in maniera importante per assecondare le legittime rivendicazioni provenienti dal mondo dai ricercatori e dai professionisti dotati di alta qualificazione: non solo – spiega - si tutelerebbe il loro futuro professionale, ma si favorirebbe l’innovazione della macchina pubblica e delle sue articolazioni. Auspico che questa Giunta possa comprendere l’importanza della tematica e che possa accogliere la proposta a beneficio dell’intera comunità”.

IL CONTESTO. “Nei giorni scorsi – evidenzia il capogruppo Pd - i sindacati di categoria e le associazioni dei ricercatori si sono mobilitati per denunciare la riduzione di risorse destinate all’Università di Perugia e all’Università per Stranieri: quello che emerge è una grave mancanza di interesse e di attenzione nello sviluppare un territorio in grado di garantire un futuro a studenti, ricercatori, alle aziende ed in generale a tutta la comunità umbra. Il presidio è stata l’occasione per rivendicare alcune battaglie fondamentali su tematiche prioritarie che devono essere necessariamente messe al centro dell’agenda politica della Regione Umbria: l’investimento in ricerca e formazione è uno dei temi chiave per costruire un modello sociale, culturale ed economico innovativo e competitivo. In questo quadro si inserisce la questione della scarsa valorizzazione del titolo di dottore di ricerca del diploma di specializzazione post laurea sia nel settore privato che nel pubblico”.

Tommaso Bori ricorda che “dall’introduzione della riforma Gelmini la sola Università degli studi di Perugia ha ridotto il proprio organico docente da 1144 a 878 unità, sostituito da contratti a tempo determinato. Ad oggi 114 i ricercatori a termini e 230 gli assegnisti di ricerca, a cui vanno aggiunti tantissimi rapporti di lavoro precario quali docenti a contratto, borsisti di ricerca, collaboratori a vario titolo. Con la precedente amministrazione universitaria i lavoratori precari hanno superato più del 50 percento di quelli stabili. Il 56,2 percento dei dottori di ricerca è destinato ad uscire dal mondo accademico dopo uno o più assegni, ben il 90,5 percento degli assegnisti verrà espulso dal sistema universitario. Scarsa, inoltre, è l’attenzione alle questioni di genere, visto che tra il personale stabile solo il 37 percento è di sesso femminile, percentuale che si riduce progressivamente man mano che si procede verso le posizioni apicali. I posti di dottorati – conclude Bori - sono passati dai 9.288 del 2017 agli 8.960 del 2018, con una riduzione del 3,5 percento in un anno. Il quadro complessivo è davvero preoccupante dal 2007 i posti di dottorato banditi si sono ridotti addirittura del 43,4 percento e dallo scorso anno il 16,9 percento dei dottorati è senza borsa”.


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