IMG 20230828 122634(UNWEB) Perugia . Si è chiuso il sipario su Fontivegge & Friends, la tre-giorni di festa nel quartiere organizzata dai comitati Uniti per Fontivegge e Progetto Fontivegge sotto la supervisione del Comune di Perugia, nel quadro della più ampia iniziativa Perugia & Friends. Dal punto di vista strettamente organizzativo, l'evento è stato un sostanziale successo e l'atmosfera generale di una Piazza del Bacio insolitamente festosa e affollata di famiglie ha indubbiamente suscitato sensazioni positive: un clima edificante, sebbene temporaneo, che il quartiere non registrava da tempo immemore. Per questo, senz'altro, è d'uopo un plauso per chi, a titolo volontario, si è impegnato a fondo per la riuscita della kermesse.

Purtroppo, però, la realtà quotidiana di un'area storicamente difficile della città non è affatto cambiata. Ne è stata plastica dimostrazione la presenza massiccia delle forze dell'ordine, mai così impegnate negli analoghi eventi sin qui svoltisi negli altri quartieri chiamati in causa dall'iniziativa.

Il momento politico, giocoforza innescato dalla tavola rotonda della seconda giornata, ha messo in chiaro che la strada verso la rinascita di Fontivegge è ancora molto lunga ed irta di ostacoli. La retorica emersa durante il dibattito, ancora ostaggio di visioni anacronistiche ed incapaci di interpretare la realtà del quartiere (e dei fenomeni migratori in generale), non ha fatto che confermare la significativa distanza che sussiste tra le legittime richieste di sicurezza dei residenti ed una narrazione mainstream imbevuta di luoghi comuni e banali semplificazioni.

Le condizioni di Fontivegge, divenute critiche a partire dalla metà degli anni Novanta, sono sensibilmente peggiorate nel corso dell'ultimo anno, in concomitanza con i nuovi sbarchi sul territorio nazionale, autorizzati dal governo ma di fatto "stabiliti" dalle ONG. La scelta di appaltare la gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo ad organizzazioni private rappresenta probabilmente la più grande sconfitta della politica italiana ed europea negli ultimi dieci anni, fiaccando la postura dello Stato ed indebolendo il suo naturale ruolo di garante della sicurezza, della difesa e della legalità. L'ipotesi che l'idea stessa di confine possa essere reinterpreta in senso "liquido" (mutuando l'espressione di Bauman) sta illudendo buona parte delle classi dirigenti e dei giovani nel mondo occidentale, persuasi da insistenti e martellanti "mitologie" urbane create in provetta nei circuiti culturali di orientamento liberal. Secondo questa nuova concezione, ogni limite è abbattibile e tutto sembra possibile: scomporre, ricomporre, stravolgere e ricostruire rapidamente, come in presenza di una grande tabula rasa a disposizione di una nuova (preoccupante) ingegneria sociale.

L'integrazione - processo-chiave facile a dirsi ma difficile a farsi - diviene pura retorica da esibire in pubblico per sdoganare sé stessi, scongiurare accuse di razzismo ed apparire "politicamente corretti". Partendo da questo dogma politico, ci si divide poi in diverse scuole di pensiero. C'è chi vorrebbe assorbire l'immigrato, omologandolo artificialmente ai valori della nostra società; chi, invece, cerca di tutelarne l'identità di origine, tentando di armonizzarla con quella locale; chi intende farne una "risorsa", mercificandone l'esistenza in funzione delle esigenze di compressione dei salari e delle tutele sul lavoro faticosamente conquistate nel secolo scorso; e chi, infine, pretende di poter organizzare folte comunità di stranieri, autoreferenziali e chiuse al proprio interno, trasformate in piccole enclavi del Paese di origine, dove vigono regole, consuetudini ed abitudini estranee al contesto autoctono.

I quasi trent'anni di crescente caratterizzazione multietnica (allogena) di Fontivegge dimostrano che niente di tutto ciò ha prodotto risultati soddisfacenti. Qualsiasi soluzione generale, che cioè tenti di ricondurre a principi generali specifiche situazioni complesse e ramificate, è destinata a fallire. Prima di tutto, l'immigrato-individuo (inteso come persona/famiglia che arriva a Perugia per svolgere un'opera professionale e migliorare legalmente il proprio status sociale di partenza) andrebbe distinto dall'immigrato-comunità (inteso come gruppo di conterranei in semplice via di fuga, privi di prospettive lavorative e disposti a vivere di espedienti). Appare più chiara, in questo senso, la nettissima differenza che esiste, ad esempio, tra la presenza cinese e quella nigeriana a Fontivegge: la prima, quasi mai coinvolta in episodi di cronaca, si dedica ad attività per lo più regolari e di pubblica utilità (ristorazione, parruccheria, sartoria, articoli per la casa, telefonia ecc...); la seconda si concentra invece su attività di carattere etnico, cioè rivolte unicamente alla comunità di appartenenza, non di rado bacino di coltura per la proliferazione di condotte illecite.

Ovviamente, non c'è una regola fissa ed universalmente valida. Esistono non poche eccezioni che potrebbero mostrare situazioni diverse, ma questo è ciò che si osserva in linea tendenziale nel quartiere. E potremmo fare numerosi altri esempi in questo senso, come la differenza, altrettanto marcata, tra la presenza romena (da non confondere con quella rom) e la presenza tunisina nel quartiere.

Per ricomporre il tessuto sociale di Fontivegge è fondamentale partire in primis da una realtà certamente impopolare presso molti maître à penser di casa nostra, ma vera: l'immigrazione di massa non è un destino inevitabile né un fenomeno irreversibile. Quei Paesi che, come la Francia, possono legalmente blindare i propri confini e respingere i tentativi di ingresso, ci forniscono più di una prova a tale riguardo. L'Italia, "condannata" dal dettato di Dublino quale Paese di primo approdo, non può sostenere nel lungo periodo quote così grandi e in così rapida successione di nuovi arrivi. La situazione di disagio e degrado nei quartieri, spesso già caldi, delle città italiane, da Nord a Sud, è ormai intollerabile.

Anche Fontivegge è satura: da mesi cantieri dismessi e fabbricati abbandonati sono presi d'assalto da stranieri senza fissa dimora, facili prede di una criminalità alla continua ricerca di nuova manovalanza incensurata. Il giro dello spaccio di sostanze stupefacenti tra Via Angeloni e Via del Macello è impressionante, così come la loro assunzione, a volte anche all'aria aperta e in pieno giorno. Il bivacco, unito al consumo di bevande alcoliche, in barba all'apposita ordinanza comunale, attorno all'ex coworking, la prostituzione nelle ore pomeridiane in Via Canali, le risse e gli schiamazzi notturni nelle vicinanze dei locali etnici sono tutti fattori che contribuiscono a creare una miscela esplosiva, pronta a mandare definitivamente in frantumi quel poco che resta della tranquillità e del decoro della Fontivegge di un tempo: una memoria sociale tenuta eroicamente in piedi da cittadini attivi e consapevoli (ma in costante calo demografico) anche durante Fontivegge & Friends attraverso l'esposizione di immagini del passato industriale e post-industriale del quartiere.

Qui veniamo al punto cruciale: i disastrosi effetti (tutt'altro che collaterali) dei progetti di integrazione maggiormente utopici non possono essere scaricati sui residenti e sui commercianti del quartiere, cioè su chi è nato e/o cresciuto a Fontivegge, chi vi ha investito e chi vi svolge la sua professione. Da queste parti, i perugini sono sempre meno e, quando possono, si trasferiscono altrove. Fenomeno - questo - che sta cominciando ad emergere, sebbene in misura minore, anche in aree insospettabili, come le vicine Via Birago, Via del Lavoro e Via della Concordia. La scarsa presenza di giovani adulti durante la tre-giorni di Fontivegge & Friends ha detto più di qualcosa a questo proposito. 

Che fare? È necessaria, oggi più che mai, una forte azione coordinata tra Comune, Questura e Prefettura per assicurare alle carceri i malviventi e velocizzare i rimpatri di chi non ha diritto a stare in Italia, anche attraverso l'apertura di un CPR in Umbria. Va immediatamente ristabilita la legalità in tutti i condomini problematici, da anni al centro delle cronache. Serve un più deciso investimento pubblico sulle infrastrutture del quartiere per migliorarne la viabilità e la connettività, in senso sia urbano che extraurbano. Occorre, infine, uno stop di almeno cinque anni al consumo di nuovo suolo, anzi, sarebbe importante prendere seriamente in considerazione l'ipotesi di espropriare ed abbattere gli stabili fatiscenti abbandonati per creare nuove aree verdi che possano meglio mitigare l'elevato tasso di inquinamento da smog presente a Fontivegge.

Per anni la linea dell'amministrazione comunale è stata improntata al cambiamento "passivo": rigenerare qualche edificio dismesso per attrarre investimenti privati, nell'attesa che la situazione cambiasse di conseguenza. Molti residenti hanno invece, giustamente, ribaltato questo paradigma, palesemente stantio ed improduttivo. Senza il fondamentale prerequisito della sicurezza e del decoro non ci saranno mai seri investimenti nel quartiere e chi può (stranieri regolari inclusi) se ne andrà alla prima occasione. È già successo e succederà ancora.

Andrea Fais per Umbria Notizie Web

 

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