È il quadro che emerge da un'analisi effettuata in collaborazione con il Centro studi Sintesi all'indomani della pandemia
(UNWEB) Dopo due anni di pandemia, le imprese umbre attive risultano circa 80mila, un valore perfettamente in linea con il dato del 2019: praticamente si conferma il rapporto di 1 impresa ogni 10 abitanti. Le imprese artigiane registrano una flessione, diminuendo dell'1,4% rispetto al 2019, sebbene nell'ultimo anno la tendenza si sia sostanzialmente arrestata. Ed emerge un particolare interessante.
"L'approfondimento che abbiamo commissionato al centro studi Sintesi rispetto alla ricerca presentata il mese scorso ci dice una cosa – afferma Michele Carloni presidente di CNA Umbria -: e cioè che la diminuzione del numero delle imprese artigiane è dovuta in parte al fatto che alcuni lavori non li vuole fare più nessuno, ma anche alla trasformazione di una parte di esse in piccole industrie".
Lo studio evidenzia che nell'ultimo anno solare si è registrata una lieve contrazione del numero di imprese attive (-0,5%): alla flessione significativa della manifattura (-4,6%), del commercio e dei trasporti, si è contrapposta una crescita dei comparti legati ai servizi. Tuttavia l'artigianato continua a rappresentare il 25% del totale delle imprese e un'analoga percentuale in termini occupazionali. In particolare è artigiano oltre il 60% delle imprese manifatturiere, mentre nelle costruzioni la percentuale supera abbondantemente il 70% e nei servizi alla persona raggiunge il 55%.
"Il dato da non sottovalutare – continua Carloni – è che il calo delle imprese artigiane, soprattutto per quanto riguarda il settore della manifattura, è dovuto, oltre che alla sparizione di alcuni lavori, alla trasformazione di tanti piccoli artigiani che, superando il limite dimensionale stabilito dalla normativa vigente, sono tenuti a essere inquadrati come piccole industrie. Per cui, più che di calo dell'artigianato bisognerebbe parlare della conferma di una trasformazione in atto da alcuni anni. Un fenomeno che era già evidente nella manifattura e che ora comincia a interessare anche il settore degli impiantisti, trainato da richieste di mercato influenzate dai processi di diffusione delle reti informatiche, dalla trasformazione digitale che investe imprese e famiglie e dalle politiche di risparmio energetico. Si tratta di tendenze che, secondo noi, – dovrebbero indurre una revisione dei limiti dimensionali previsti dalla normativa nazionale".
Per il 2023 le inquietudini sono numerose.
"Come abbiamo avuto già modo di dire, ci preoccupa innanzitutto il fatto che, essendo molte delle imprese artigiane attive nel settore delle costruzioni, sia molto alta la loro esposizione alla ripartenza della cessione dei crediti sui bonus edilizi. Un fattore di preoccupazione è dato anche dalla riduzione dei crediti d'imposta sugli investimenti prevista per il 2023 dal piano di Transizione 4.0. Inoltre, c'è il rischio emergente per tutte le imprese, ma in particolare per quelle dell'artigianato, legato all'aumento dei tassi di interesse e dei costi del credito bancario. Siamo anche di fronte a un aumento delle sofferenze non solo delle banche, ma anche del fondo centrale di garanzia. Per questo crediamo che la Regione Umbria debba adoperarsi per adottare, all'interno di una programmazione ferrea dei fondi strutturali 2021/2027, strumenti innovativi che, da un lato possano facilitare l'accesso al credito delle imprese in difficoltà, dall'altro per sostenere la riduzione dei costi del credito, evitando che misure pensate per le imprese vadano ad esclusivo vantaggio delle banche. A nostro avviso – conclude il presidente regionale della CNA - tali strumenti potrebbero contribuire a creare un clima di fiducia, fondamentale per stimolare nuovi investimenti".