(ASI) In un Paese purtroppo stretto nella morsa dell'emergenza per l'ormai nota diffusione epidemica di un nuovo virus che colpisce l'apparato respiratorio, del tipo coronavirus, partita dalla metropoli centro-meridionale di Wuhan, anche il Capodanno lunare, plurimillenaria tradizione cinese, è stato vissuto in tono minore.
Senza dubbio, l'inizio di questo Anno del Topo sarà ricordato per la mega-quarantena cui è stata sottoposta la città-focolaio dell'epidemia ed altri centri limitrofi della Provincia dello Hubei, ma anche per la prudenza personale ed il senso di responsabilità sociale di molti cinesi, che hanno deciso di rinunciare a viaggi già prenotati per la settimana di vacanze prevista in questo periodo dell'anno, oltre ai tanti operatori sanitari che, nell'ambito di un'imponente task-force medica ed infermieristica, hanno deciso di raggiungere Wuhan per sostenere il personale ospedaliero e di ricerca.
Eppure, nel male di una situazione che ha riportato alla mente l'incubo Sars del 2003, il governo cinese sta fin'ora mostrando un accresciuto livello nella capacità di risposta ad un fenomeno - quello delle diffusioni o delle epidemie infettive - che non guarda in faccia nessuno, colpendo indistintamente Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, al di là delle precarie condizioni igienico-sanitarie di singoli territori dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina che possono logicamente aumentarne, anche di molto, la percentuale di rischio. Come diciassette anni fa a Pechino, anche in questi giorni a Wuhan tecnici ed operai - pagati per l'occasione il triplo del normale salario in una settimana che avrebbe dovuto essere di festa e riposo - stanno lavorando giorno e notte per costruire in appena dieci giorni un "mini-ospedale" da circa 1.000 posti letto, un centro appositamente dedicato alla cura dei pazienti colpiti da questo nuovo coronavirus, in modo da isolarli del tutto dai altri pazienti ricoverati per patologie di altro genere negli ospedali generali della città. Un secondo "mini-ospedale" è stato annunciato già da qualche giorno.
La situazione è chiaramente complicata dal periodo invernale, una fase dell'anno in cui i normali malanni di stagione possono essere confusi - nel generale clima di timore - con i sintomi preliminari di questa insidiosa forma di polmonite. Tuttavia, come suggerito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, è opportuno mantenere la calma. Stando agli aggiornamenti di stamattina (ora cinese), le autorità sanitarie cinesi hanno comunicato 1.975 casi accertati di pazienti affetti da coronavirus nella Cina continentale, di cui 324 in condizioni critiche e 688 verificati nelle ultime 24 ore. A questi si aggiungono 1.309 nuovi casi sospetti, che portano il totale dei pazienti sotto osservazione a 2.684. Le morti, fin'ora, sono state 56 in tutto ma in buona parte si trattava di persone anziane o già affette da altre patologie. Altri 10 casi di infezione confermati sono stati segnalati tra Hong Kong (5), Macao (2) e Taiwan (3). All'estero, invece, sono 23 le persone - tutte provenienti da Wuhan ed aree limitrofe - che hanno contratto il virus: 4 in Thailandia (di cui 2 già guarite), 2 in Giappone (di cui una già guarita), 2 in Corea del Sud, 2 negli Stati Uniti, 2 in Vietnam, 3 a Singapore, 3 in Malesia, una in Nepal, 3 in Francia ed una in Australia.
Restano le incertezze sull'origine di questa epidemia, al di là dell'ipotesi - ad oggi la più accreditata - relativa ad un possibile collegamento con abitudini alimentari occasionali ma rischiose, come la consumazione di pietanze a base di pipistrelli, roditori o serpenti, divenute caratteristiche durante i tempi duri del colonialismo, delle guerre e della povertà diffusa, a cavallo tra XIX e XX secolo, ma in realtà eterodosse rispetto alla tradizione culinaria cinese, che prevede invece l'abituale consumo di carne di maiale, anatra e manzo, oltre a riso, pasta, pesce, uova, verdure, cereali ed altri alimenti in gran parte comuni alla cucina europea, sebbene cucinati e speziati in modo diverso.
Quella sanitaria è una sfida che Pechino sa di non poter perdere, poiché indirettamente associata, almeno nella percezione comune, a due delle tre "dure battaglie" già indicate negli ultimi anni dal presidente cinese Xi Jinping: quella contro le ultime sacche di povertà ancora presenti nel Paese e quella contro l'inquinamento a tutti i livelli. Ovviamente non ci sono connessioni scientifiche tra l'origine di un virus o di un batterio ed il contesto sociale in cui questo si origina, ma riuscire ad isolarlo, bloccandone o limitandone al minimo la diffusione, è un passaggio fondamentale in un Paese di circa 1,4 miliardi di persone, oltre la metà delle quali residenti all'interno di medi, grandi o grandissimi agglomerati urbani collegati internamente ed esternamente da metropolitane, bus elettrici, treni ed aerei, sempre più utilizzati da chi vive o viaggia in Cina per la loro comodità e rapidità, ed ovviamente incentivati dal governo nel quadro di una mastodontica opera di promozione della mobilità sostenibile. Mettere in campo poi trasformazioni sostanziali, come la nuova legge sui bagni pubblici approvata nel 2015 o la raccolta differenziata condominiale o di quartiere avviata nel corso degli ultimi anni, in un contesto di queste proporzioni sta richiedendo sforzi nemmeno lontanamente immaginabili da molti leader politici occidentali.
Per questo, Xi Jinping, due giorni fa, durante una riunione d'urgenza del Comitato Permanente del Politburo del Partito Comunista Cinese, è stato lapidario: «La vita è di fondamentale importanza. Quando scoppia un'epidemia viene emesso un ordine. È nostra responsabilità prevenirla e controllarla». La Cina - nelle stesse parole della leadership - è ancora un Paese in via di sviluppo. Se in soli quarant'anni il gigante asiatico ha di fatto colmato un secolo e mezzo di divario industriale e tecnologico con l'Occidente, questo non significa affatto che il suo percorso verso il benessere diffuso e l'innalzamento della qualità della vita sia completato. Le sue dimensioni, sia economiche che demografiche, ci mettono di fronte ad un tentativo inedito nella modernità, probabilmente mai visto prima nella storia, che richiederà ancora molti anni di lavoro.
A breve si chiuderà una fase importante, quella del primo obiettivo centenario, che prevede il raggiungimento della "moderata prosperità" (concetto di derivazione confuciana che indica un livello di benessere minimo diffuso all'intera popolazione) entro il 2021. Da allora sino al 2049, anno del secondo obiettivo centenario, il governo dovrà compiere una serie di ulteriori riforme profonde, chiamate a trasformare il Paese adattandone il sistema istituzionale, legislativo, produttivo, sociale, culturale e - non ultimo - sanitario, alle esigenze di quella che Xi ha più volte definito con l'espressione "Nuova Era".
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia