L’arcivescovo Boccardo: «Ponziano era un uomo coraggioso, che non si è fatto vincere dalle tragedie...speriamo che la ricostruzione post-sismica dia inizio ad una stagione in cui tornino a risplendere il coraggio, la sobrietà, la responsabilità, il dialogo, l’unità e contemporaneamente competenze, politiche e tecniche, da mettere insieme in un gioco di squadra, indispensabile per conseguire - senza inutili lungaggini burocratiche - quel risultato che tutti attendiamo e che esprima creatività e crescita per una autentica rinascita dei nostri borghi e delle nostre città».
(UNWEB) Spoleto. «Siamo convenuti in questa Basilica secolare “per vedere Ponziano”, affascinati dalla sua storia e dal suo messaggio. Il nostro Santo, infatti, continua a parlare a Spoleto e alla sua gente e a ricordare a tutti che la vita è un dono e un impegno, una grave responsabilità». Con queste parole l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, ha iniziato sabato 14 gennaio l’omelia nella festa liturgica di S. Ponziano, patrono della Città di Spoleto e dell’intera Archidiocesi, invocato come protettore dai terremoti.
Tantissimi gli spoletini che sono saliti in Cattedrale per rendere omaggio al Patrono. Con mons. Boccardo hanno concelebrato: mons. Antonio Buoncristiani, arcivescovo metropolita di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino (indigeno della Diocesi essendo nato a Cerreto di Spoleto); mons. Riccardo Fontana, arcivescovo-vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro (Pastore della Chiesa di Spoleto-Norcia dal 1955 al 2009, che visse il terremoto del 1997 e la successiva ricostruzione); mons. Gino Reali, vescovo di Porto-Santa Rufina (indigeno della Diocesi essendo nato a Ruscio di Monteleone di Spoleto); mons. Giovanni D’Ercole vescovo di Ascoli Piceno (Diocesi confinante terremotata); mons. Nazareno Marconi vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia (vescovo confinante terremotato); mons. Giuseppe Chiaretti arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve (indigeno della Diocesi essendo nato a Leonessa che al tempo era nel territorio della Chiesa spoletina); dom Donato Ogliari abate ordinario di Montecassino (forte il legame tra la Diocesi e quel territorio nel nome di S. Benedetto). Tanti anche i presbiteri, diocesani e religiosi, dell’Archidiocesi. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Edoardo Rossi. La liturgia è stata animata dalla Cappella musicale del Duomo diretta dal maestro Francesco Corrias, con all’organo il maestro Paolo Sebastiani. Significativa la presenza delle Benedettine di Norcia, attualmente ospitate a Trevi, a cui il terremoto ha sventrato l’antico monastero di S. Antonio; c’erano anche alcune Benedettine di Trevi e le Benedettine Celestine di Castel Ritaldi. A queste religiose, l’Arcivescovo ha dato il permesso di lasciare momentaneamente la clausura. Nutrito il gruppo delle autorità civili e militari, tra cui: il sottosegretario al Ministero dell’Interno Gianpiero Bocci, il presidente del Consiglio regionale dell’Umbria Donatella Porzi, l’assessore regionale alla sanità Luca Barberini, il sindaco di Spoleto Fabrizio Cardarelli, altri Sindaci dei Comuni del territorio della Diocesi.
«Siamo qui – ha proseguito mons. Boccardo - per vedere un uomo coraggioso, che si è consacrato alla testimonianza di un Amore il cui Spirito fa vivere anche le ossa più aride e fa risorgere anche dalle ferite più orribili. Siamo venuti a vedere un uomo che ha conosciuto le tragedie e non ne è stato vinto; un uomo docile allo Spirito e forte della fede in Dio: senza la quale la Chiesa non vive e il mondo si accartoccia su se stesso». Poi, inevitabile, il passaggio sul terremoto che ha sconvolto la vita di tante persone della Valnerina e dello Spoletino. La tradizione, ha ricordato mons. Boccardo, vuole che la terra abbia tremato al momento del suo martirio, il 14 gennaio 175; è dal 14 gennaio 1703 - quando si ebbe la prima di una lunga serie di scosse che avrebbero funestato la regione - che la devozione popolare gli attribuisce la profezia: “Spoleto tremerà ma non crollerà”. «E noi – ha proseguito l’Arcivescovo - riconosciamo la protezione di San Ponziano nel fatto che, pur in mezzo alle macerie delle case e delle chiese, non dobbiamo piangere vittime. Da sempre i terremoti e le altre catastrofi naturali rendono pensosi gli uomini. E di fronte ad eventi di questa portata essi rinnovano l’esperienza bruciante della loro piccolezza e della loro impotenza. Ma anche scoprono ed esperimentano una rinnovata fortezza d'animo, il coraggio, la tenacia e - insieme - la pazienza e la solidarietà nell'aiuto vicendevole. E quindi la fede, che si manifesta nei gesti e negli atteggiamenti di una grande umanità». Poi, il Presule ha esortato a guardare avanti: «Ci piace pensare allora al tempo che si apre davanti a noi come ad una grande occasione per compiere un salto di qualità, per “ricostruire” - insieme alle case, alle chiese, ai luoghi del lavoro e dello svago - anche l’uomo “dal di dentro”. Occorre guardare avanti con sguardo lungo e alto, in uno sforzo condiviso di intelligenza e di comprensione; attenersi fedelmente non alle opinioni correnti e ai calcoli interessati ma a ciò che è vero, buono e giusto; non accontentarsi di un ottimismo senza fondamento ma alimentare e custodire la speranza. È urgente rinnovare in qualche modo un patto sociale e civile, riscoprire le buone ragioni per stare insieme, resistere alla tentazione dello scoraggiamento e della delusione, non lasciarsi abbattere dal moltiplicarsi dei segni di logoramento, visibili anche quando lo spazio pubblico si configura come mera palestra di incontro di interessi, nei cui confronti si cerca di procedere contrattualmente, fino al punto che gli interessi diventano pubblici e i valori vengono confinati nel privato». Infine, un passaggio sulla ricostruzione: «Vogliamo pensare e sperare che la ricostruzione, di cui tanto si parla, dia inizio ad una nuova stagione che riproponga le virtù civiche come l’onestà, la volontà di servizio, l’impegno per il bene comune e l’attenzione agli ultimi, la salvaguardia dei diritti di tutti; una stagione in cui tornino a risplendere il coraggio, la sobrietà, la responsabilità, il dialogo, l’unità e contemporaneamente competenze, politiche e tecniche, da mettere insieme in un gioco di squadra, indispensabile per conseguire - senza inutili lungaggini burocratiche - quel risultato che tutti attendiamo e che esprima creatività e crescita per una autentica rinascita dei nostri borghi e delle nostre città. Alla intercessione immancabile del nostro antico Patrono, che non ci ha mai abbandonati, affidiamo il tempo che stiamo vivendo e le gravi responsabilità che ci attendono a livello ecclesiale e civile: la sua preghiera ci ottenga il dono della sapienza del cuore e l’energia necessaria per passare dalla facile verbosità alla difficile concretezza delle attuazioni e risvegli in tutti quelle potenzialità di bene capaci di rendere la vita bella, buona e ricca di frutti».