DSC 0068spoleto(UNWEB) Spoleto. Il Presule nell’omelia del giorno: «Di fronte alle derive eutanasiche che sembrano svilupparsi e crescere, di ben altra cultura abbiamo bisogno: di quella cioè che spinge ad aiutare il malato nel momento in cui la morte si approssima. Perché una cosa è aiutarlo a morire; altra cosa è farlo morire. La morte, infatti, anche quando è cercata, è sempre una sconfitta».

Notte di Natale, Messa in Duomo. L’arcivescovo di Spoleto-Norcia e Presidente della Conferenza Episcopale Umbra mons. Renato Boccardo ha presieduto la veglia nella Basilica Cattedrale di Spoleto. Molti i fedeli presenti che, nella preghiera, hanno offerto a Dio le proprie notti e le proprie tenebre, certi che Gesù nasce nel cuore di ciascuno per colmare ogni vuoto e dissipare ogni dubbio. La liturgia è stata animata dalla Cappella Musicale del Duomo, diretta dal maestro Francesco Corrias, con all’organo il maestro Paolo Sebastiani.

Nell’omelia mons. Boccardo ha sottolineato come oggi si ha «l'impressione di vivere in un tempo nel quale le tenebre si estendono intorno a noi, sensazione che si accentua quando confrontiamo le notizie drammatiche e dolorose che quasi quotidianamente smentiscono le grandi speranze che ciascuno cerca di coltivare e di ravvivare per il presente e per il futuro. Gli avvenimenti dell’anno che sta morendo concorrono a confermare questo sentimento. L’oscurità, l’ombra sembra guadagnare terreno, occupare le ultime zone franche di libertà e di pace di cui abbiamo così tanto bisogno! Ma esiste anche un’altra terra tenebrosa, più terribile ancora e più angosciante», ha proseguito il Presule. «Si trova nel profondo stesso del nostro cuore. È proprio lì che l'usura del tempo, la disillusione e il sentimento di impotenza sembrano voler soffocare gli ultimi singulti di speranza seminati in noi. Questo deserto interiore è davvero più cupo, ben più oscuro e opaco di tutti quelli che il nostro tribolato mondo può creare intorno a noi, perché esso ci lascia assolutamente sprovvisti, spogliati di tutto, infinitamente soli. Ma è proprio lì, in questo paesaggio di ombre e di oscurità, in questa terra inospitale e nuda – ha detto mons. Boccardo -, che Dio ha scelto di venirci incontro. Noi pensiamo o crediamo spesso che siano necessarie circostanze favorevoli perché Dio possa avvicinarsi a noi. La notte di Natale ci offre invece la prova contraria. Per venire a noi Dio pone un'unica condizione: ha bisogno della nostra notte, come fu quella di venti secoli fa, in territorio di Palestina».

Giorno di Natale, Messa all’Hospice. La mattina di Natale, alle 9.00, l’Arcivescovo ha celebrato la Messa dell’aurora con le persone ricoverate all’Hospice “La Torre sul Colle” di Spoleto, con i loro familiari, il personale medico e paramedico e i volontari. Il Vangelo di Luca proponeva l’immagine dei pastori che vanno fino a Betlemme per conoscere l’avvenimento della nascita di Gesù. «Tutta la nostra vita – ha detto mons. Boccardo – è un andare a vedere, è un pellegrinaggio continuo: in questo cammino attraversiamo momenti di difficoltà e di buio come possono essere la malattia e anche la morte. L’importante, però, è non perdere mai la metà, Gesù Cristo. L’incarnazione del Figlio di Dio – ha proseguito – ci fa vedere in ogni uomo, specialmente in quelli feriti moralmente o fisicamente, l’immagine stessa di Dio».

Giorno di Natale, Messa in Duomo. Alle 11.30, invece, l’Arcivescovo ha presieduto il solenne pontificale in Cattedrale, animato dalla Cappella Musicale del Duomo e dalla corale parrocchiale di Santa Maria nella Cattedrale (con sede in S. Filippo). Col Presule hanno concelebrato: mons. Luigi Piccioli vicario generale e parroco di S. Maria nella Cattedrale (con sede in S. Filippo), don Sem Fioretti rettore della Cattedrale, don Luis Vielman e don Justus Musinguzi vicari parrocchiali di Santa Maria nella Cattedrale (con sede in S. Filippo). Il servizio liturgico è stato garantito dai seminaristi della Diocesi e da alcuni ministranti. «Questa notte – ha detto mons. Boccardo nell’omelia – l’umanità intera è stata invitata a contemplare un bambino neonato: ogni nascita è un miracolo di per sé, è un dono di Dio. E questa mattina l’evangelista Giovanni afferma che quel bambino è il Verbo di Dio, è la sua Parola, la piena rivelazione del suo amore per l'uomo. Creato ad immagine e somiglianza di Dio, l’uomo è così grande che, malgrado il peccato, conserva imperitura in sé questa grandezza. E oggi Dio realizza il desiderio che conservava e coltivava nel cuore fin dall’eternità: condividere la vita degli uomini per offrire loro la possibilità di partecipare della sua vita divina. Ci troviamo così davanti ad un enorme disegno d’amore che ci sorprende e ci supera: se Dio è nato da una donna ed ha assunto la nostra fragilità esistenziale è stato per permetterci di nascere alla sua vita e per chiamare ogni uomo a diventare suo figlio nel Figlio Gesù. Da sempre l’uomo aspira a diventare dio ma senza Dio: è stata la tentazione primordiale, insinuata dal demonio ad Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden (cf Gen 3, 5). È per soddisfare questa sete di infinito – ha proseguito l’Arcivescovo - che l’uomo corre dietro al potere, ingordo nella smania di accumulare ricchezze, di decidere ciò che è bene e ciò che è male senza tenere in alcun conto la volontà e il progetto del suo Creatore. E questa corsa genera una cultura della morte che affascina pericolosamente il pensiero contemporaneo, fino a voler determinare nei tempi e nelle modalità anche il momento finale della vita umana, presentando questo presunto “traguardo” come una conquista di civiltà, la quale in realtà ne esce umiliata e avvilita. Di fronte alle derive eutanasiche che sembrano svilupparsi e crescere, di ben altra cultura abbiamo bisogno: di quella cioè che spinge ad aiutare il malato nel momento in cui la morte si approssima. Perché una cosa è aiutarlo a morire; altra cosa è farlo morire. La morte, infatti, anche quando è cercata, è sempre una sconfitta. La vera dignità – ha concluso mons. Boccardo - è quella che esperimenta la persona fragile e malata quando viene curata con delicatezza e tatto e accompagnata con affetto e generosa dedizione; quando è circondata da relazioni umane autentiche, che la aiutano a custodire il significato della vita e a scoprire un senso nella sofferenza e anche nella morte».


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