f4 ord sac 2019Il porporato ai due nuovi sacerdoti: «Gridare il Vangelo con la vita» e a tutti i presbiteri: «La gente si aspetta preti innamorati di Cristo...»

(UMWEB) Perugia. Con don Giosuè Busti e don Giordano Commodi, ordinati presbiteri diocesani dal cardinale Gualtiero Bassetti il pomeriggio del 29 giugno nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, il Presbiterio perugino-pievese si compone di 111 membri. A tutti loro si è rivolto il cardinale nell’omelia pronunciata nel giorno in cui la Chiesa celebra la solennità dei Ss. Pietro e Paolo.

Sulla fede dei martiri Pietro e Paolo si fonda la Chiesa di Roma.

«L’antico scrittore Tertulliano ricorda che Pietro e Paolo donarono a Roma la loro dottrina assieme al loro sangue – ha esordito il presule –. Possiamo allora cantare assieme alla Chiesa d’Oriente, che li festeggia subito dopo il Natale: “Sia lode a Pietro e a Paolo, queste due grandi luci della Chiesa; essi brillano nel firmamento della fede”. È sulla fede di questi due martiri che si fonda la Chiesa di Roma ed è su questa fede che poggia la nostra povera, fragile e debole fede, di cristiani dell’ultima ora. La loro immagine è davanti a noi perché ricordiamo il loro esempio secondo quanto scrive la lettera agli Ebrei: “Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato”. Pietro e Paolo resistettero sino al sangue. Essi vennero a Roma dalla Palestina per predicare il Vangelo. Erano due uomini molto diversi l’uno dall’altro, come canta il prefazio della santa liturgia di questo giorno. Diversa la loro storia. Eppure, nonostante le sue fragilità, sarà proprio il debole Pietro a lasciarsi toccare dallo Spirito Santo e a proclamare: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, come abbiamo ascoltato dal Vangelo di Matteo. Il Signore fece di questa debolezza la “pietra” che avrebbe dovuto confermate i fratelli. Paolo scrive al fedele discepolo Timoteo: “il Signore mi è stato vicino e mi ha dato la forza perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero”».

L’impegno del presbitero di consegnarsi a Cristo.

«Vi invito carissimi ordinandi, Giordano e Giosuè – ha proseguito Bassetti –, a far sì che mediante l’imposizione delle mani, nel giorno del mio 53° anniversario di ordinazione presbiterale, che la vostra fede possa respirare con lo spirito di questi due testimoni, Pietro e Paolo: la fede umile e salda di Pietro e il cuore ampio e universale di Paolo. E chiedo una particolare grazia per la nostra Chiesa e per voi: tornino i Santi Apostoli a sedersi in mezzo a noi per esortare a non rinchiuderci e a pensare unicamente ai nostri problemi, ma a sentire l’urgenza di confermare la fede dei nostri fratelli e a gridare il Vangelo con la vita. Carissimi Giordano e Giosuè, e voi tutti Presbiteri dell’amata Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, fra le varie interrogazioni del Rito di Ordinazione, ve n’è una, che a mio avviso coglie il senso, il significato e la finalità del Rito di Ordinazione. Fra pochi istanti chiederò ai candidati: “volete essere uniti sempre più strettamente a Cristo Sommo Sacerdote, che, come vittima pura si è offerto al Padre, consacrando, anche voi stessi a Dio per la salvezza degli uomini?” e voi risponderete: “sì con l’aiuto di Dio lo voglio!”. In una parola vi impegnate a consegnarvi a Cristo! E un tale affidamento cosa comporta? Certamente l’impegno di amarlo! Amarlo come il tutto per la vostra vita. amarlo come Padre, come fratello, come sposo, come amico».

Preti “convinti”, preti che “credono davvero”.

Il cardinale, rivolgendosi nuovamente a tutto il Presbiterio diocesano, ha detto: «La vita di un prete, nelle parole e nei silenzi, nell’azione o nell’orazione, deve continuamente tessere la tela di questo amore. E non è amore di “pelle”, tumultuoso e incostante, come quello di un adolescente, è un amore pacato e forte, sereno e capace di muovere la vita, capace di saziare la vita. è questo personalissimo amore a Gesù Cristo che sostiene e motiva il nostro ministero, ci fa preti “convinti”, preti che “credono davvero”, come dice la gente.

L’amore a Cristo, carissimi, vi farà prendere in mano la Bibbia, vi farà sostare, come Maria a Betania, seduti ai piedi di Cristo, mentre Lui vi parla e vi guarda».

Guardare e servire con gli occhi di Dio.

Rivolgendosi poi a don Giordano e a don Giosuè, il presule ha ricordato: «L’amore a Gesù vi farà prendere in mano la liturgia delle ore con quotidiana fedeltà, per parlare allo sposo con la voce della sposa, per portare davanti a Dio la lode, il gemito, l’attesa, la confessione di fede della nostra gente. L’amore a Cristo vi farà prendere in mano i libri di teologia, di spiritualità, di liturgia, per conoscere meglio colui che amiamo e per meglio farlo conoscere a coloro ai quali ci rivogliamo. Dovrete, per amore a Cristo, servirvi di tutti i mezzi della comunicazione per conoscere il volto della generazione di questo tempo, che siamo mandati a guardare e a servire con gli occhi di Dio. È l’intensità dell’amore a Cristo che vi esproprierà di spazi e di tempi, e vi farà accostare con gioia e coraggio al cammino dei bambini, dei giovani, degli adulti, degli anziani di ogni generazione per farvi fratelli, per farvi “tutto a tutti” allo scopo di “guadagnare qualcuno alla causa del Vangelo”. È ancora la tenerezza dell’amore di Gesù che vi porterà a percorrere ogni geografia umana, ed essere cittadini delle regioni della gioia, come di quelle del pianto, “a piangere con chi piange” e “ridere con chi ride”; non per celare il vostro volto sotto maschere di occasioni, ma per essere nei confronti di ogni creatura, la visibilità del volto del Padre. Ecco cosa vuol dire riconsegnarsi a Cristo, permettergli di colmarci la mente, il cuore, il corpo, le opere, le parole, perché possiate dirgli con semplice e disarmante verità: “Signore, il tuo amore vale più della vita”».

No a sacerdoti mercenari.

«Se non varchiamo quella porta che è Cristo, se non torniamo a consegnarci a Lui – ha evidenziato il cardinale Bassetti avviandosi alla conclusione –, saremo non i pastori, ma i mercenari di cui parla il Vangelo. Purtroppo non mancano sacerdoti, anche buoni, ma, lasciatemelo dire, troppo simili ad adolescenti, che continuano ad inseguire chimere e sogni di basso profilo. La gente si aspetta preti innamorati di Cristo, che hanno voglia di parlare del suo amore, non dalle cattedre ma facendo strada con gli uomini. Quando verrà il nostro turno e per me ormai non sarà lontano e allora consegneremo a Cristo la stola del nostro sacerdozio, forse un po’ macchiata, forse un po’ sdrucita, Lui ci chiederà, come un giorno agli apostoli: “Di cosa stavate parlando lungo la strada?” Auguro a tutti voi, e particolarmente a Giordano e Giosuè, di potergli rispondere: “Signore, abbiamo parlato con te, abbiamo parlato di te”».


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