DSC 3218Il Presule a Norcia: «Questa celebrazione è un grido di dolore e di speranza, è una implorazione a Dio affinché continui a prendersi cura dei sui figli»

(UNWEB) Norcia. «A Natale Gesù bambino nasce per noi; si accosta a noi per rischiarare la nostra vita, per riattizzare i nostri sentimenti spenti, per ridare vigore alle carte ingiallite della nostra memoria. È lui che scende, che fluisce dentro di noi per rinnovarci interiormente con la grazia del suo Spirito». È questo uno dei passaggi dell’omelia della notte di Natale che l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra, mons. Renato Boccardo, ha tenuto nella Basilica Cattedrale di Spoleto, alla presenza di numerosi fedeli. Nella festa di Natale ha detto il Presule «moltiplichiamo gli aggettivi, nel tentativo di comunicare sentimenti che non giungiamo del tutto a fare nostri: parliamo di auguri sinceri, cordiali, fervidi, e i superlativi tradiscono la precarietà degli affetti, la distanza tra le parole e le emozioni che si vorrebbero davvero trasmettere. Esprimiamo voti di salute, pace, felicità, ma non di rado la lingua tradisce la coscienza della caducità di queste parole. Abbiamo insomma la sensazione imbarazzante di indulgere ad un verbalismo di maniera; avvertiamo che il cuore non segue come dovrebbe e che le parole non si adeguano. Eppure, malgrado tutto, non ci rassegniamo completamente a questa svalutazione dei sentimenti, comprendiamo che si dovrebbe ritrovare la gioia di qualcosa di vero, di genuino, di semplice. È probabilmente anche per questo che siamo venuti in chiesa questa notte, con qualche speranza nascosta sotto la cenere di stanchezze e di delusioni: vorremmo che qualcosa accadesse, che il mistero si rivelasse a noi, che potessimo ritrovare l'innocenza e la semplicità dell'infanzia. Con una fede matura e adulta noi vogliamo riconoscere, nel Bambino del presepio, la luce di questo mondo, vogliamo accogliere la vita che restituisce la speranza a questa civiltà pericolante e malata. A lui ci affidiamo, e nel suo nome ci scambiamo gli auguri di gioia, di pace, di serenità, resi tangibili non dalle nostre parole più o meno sottolineate o ripetute, ma dalla forza della sua presenza che ci avvolge. Perché la nascita di questo Bambino ha cambiato ogni cosa».

Il giorno di Natale, invece, mons. Boccardo si è recato a Norcia per la celebrazione della Messa tra le rovine causate dai sismi del 2016 della Concattedrale di Santa Maria. All’interno della chiesa, per motivi di sicurezza, sono state fatte accomodare, sedute, novanta persone; all’esterno erano state sistemate diverse seggiole, ma non sono bastate per tutti: molti, infatti, stavano in piedi. Chi era fuori, ha potuto seguire la celebrazione grazie a due monitor sistemati nella rete che delimita la zona del cantiere. Su alcune pietre della Concattedrale crollata è stato deposto il Bambino Gesù: nella precarietà e nella sobrietà venne alla luce a Betlemme 2019 anni fa; nella precarietà e nella sobrietà è “rinato” oggi tra le rovine della Concattedrale di Norcia. Presente naturalmente il sindaco della Città Nicola Alemanno. Il ringraziamento di Diocesi e Comune va alle Associazioni di volontariato che hanno garantito lo svolgimento della Messa in sicurezza. Grande la commozione dei presenti nel rientrare per la prima volta dal 2016 all’interno della chiesa madre di Norcia. Molti non hanno trattenuto le lacrime nel vedere le rovine della chiesa. Commozione che ha avvolto anche l’Arcivescovo, il Sindaco e i preti concelebranti: don Davide Tononi parroco in solido di Norcia, don Luciano Avenati parroco dell’Abbazia di S. Eutizio in Preci e don Dario Dell’Orso rettore emerito della Basilica di S. Benedetto.

L’omelia dell’Arcivescovo. La celebrazione eucaristica, animata dal coro parrocchiale, è stata caratterizzata da un silenzio implorante. Con attenzione i molti fedeli presenti hanno ascoltato l’omelia di mons. Boccardo, avviata con questa domanda: «Perché celebrare una Messa tra i ruderi di una chiesa, fosse anche una Concattedrale. E naturalmente ha fornito le spiegazioni. «Può essere innanzitutto – ha detto - un esercizio dolce e nostalgico della memoria, che ci riconduce ai Natali prima del terremoto, quando qui si veniva in famiglia a celebrare la nascita del Salvatore. E mentre li accarezziamo con lo sguardo, il volto sfigurato di Santa Maria Argentea e queste pietre accatastate parlano al cuore... Può essere un gesto di solidarietà verso i tanti terremotati. Anche la comunità cristiana ha perduto la sua casa. Qui essa si edificava come popolo di Dio per mezzo dell’ascolto della Parola, la celebrazione dei sacramenti e la testimonianza della carità. E anche Dio ha dovuto lasciare questa casa, privata ormai di luci e di suoni, divenuta muta riproposizione della sorte a Lui toccata il giorno stesso della sua nascita: «non c’era posto per loro nell’alloggio», dice il Vangelo (cf Lc 2, 7). La sobrietà del luogo che ci accoglie, preparato per l’occasione senza sottrarre fondi e mezzi destinati ad altre finalità, richiama in maniera eloquente la povertà e la semplicità della grotta di Betlemme. Questa celebrazione – ha detto il Presule - può essere ancora un grido di dolore e di speranza: dolore per il prolungarsi dell’attesa che affievolisce fino a spegnerli sogni e progetti; speranza che, nonostante tutto, mantiene viva la fiducia nell’uomo e nella sua capacità di lavorare efficacemente per l’edificazione del bene comune, al di fuori e al di sopra di interessi e fazioni. Può essere infine una implorazione accorata che sale a Dio affinché continui a prendersi cura provvidente dei suoi figli, e si rivolge alle Istituzioni perché il grande cantiere della ricostruzione imbocchi finalmente il cammino della concretezza. E allora a Gesù che viene tra noi chiediamo il dono di un’esistenza rinnovata, di una politica con più fiato, di una maggiore attenzione a chi ci sta accanto, di una più grande fiducia nelle istituzioni, meno egoismi privati e più coraggio pubblico, l’apparire di prospettive capaci di giustificare i sacrifici che dobbiamo affrontare, un tempo – ha concluso il Presule - per tutti di concordia, serenità e pace».

Al termine della Messa mons. Boccardo si è rivolto così ai nursini presenti: «Come avete potuto vedere non è stata una passerella, ma un momento di preghiera intenso. È stato commovente il silenzio che ha caratterizzato questa celebrazione: in alcune parti di essa abbiamo sentito solo il grugare dei colombi. Un ulteriore piccolo segno che fa nascere in tutti noi sentimenti e pensieri di pace e di gioia, indespensabili per ricostruire moralmente e materialmente Norcia, ma anche Cascia, Preci e gli altri centri terremotati». Dopo la benedizione finale, mons. Boccardo ha preso in mano il Bambinello e tutti i presenti si sono avvicinati per baciarlo. Naturalmente, sono entrati in chiesa anche tutti coloro che hanno partecipato alla Messa dall’esterno.

Le parole del sindaco Nicola Alemanno: «Oggi ci riprendiamo un pezzo della nostra storia. Tutti abbiamo ricordi legati a questa chiesa: i sacramenti ricevuti, le Messe domenicali e per le grandi solennità. Questa Messa è stato un segnale forte di unità e di speranza per Norcia; un segnale che ci dice che questa comunità ce la può fare a rialzarsi».

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