(ASI) Perugia. Dai Giardini Carducci scendiamo al concerto dell'Arena di Santa Giuliana, dove ascoltiamo il concerto di apertura affidato al giovanissimo Pedro Martins. Per gli esperti del genere e gli amatori di questo palco l’artista è molto bravo e quindi promettente.
Esegue un intreccio di musica brasiliana legata alle modalità espressive di Pat Metheny e proposta con grande delicatezza e garbo. Sul suo grande avvenire ci sono pochi dubbi; oltre quaranta minuti di musica tra chitarra e voce solista, con la sola base ritmica quale sottostante. Certamente un virtuoso. “È balzato agli onori delle cronache musicali per aver vinto sette anni fa, giovane prodigio brasiliano, la prestigiosa Montreux Guitar Competition. Musicista eclettico, dopo aver cominciato a studiare la chitarra da bambino, è in seguito diventato polistrumentista, songwriter e cantante. È perfettamente a suo agio con i generi tipicamente brasiliani come samba e choro, ma anche con jazz, fusion, progressive rock, world music. È diventato noto per le sue collaborazioni con musicisti come Kurt Rosenwinkel (con il quale ha suonato a lungo), Yaron Herman, David Binney, Jacob Collier. Pedro Martins ha collaborato anche con e con star del jazz brasiliano come Hamilton de Holanda, Gabriel Grossi e Toninho Horta. Nel 2019 è uscito il secondo album a suo nome, “Vox”, con lo stesso Rosenwinkel e con collaborazioni eccellenti che vanno da Brad Mehldau a Chris Potter”.
Il concerto prosegue con l’atteso ed applaudito Herbie Hancock che si propone insieme a grandi musicisti quali Terence Blanchard, alla tromba ed uno dei più grandi artisti jazz contemporanei, Lionel Loueke (chitarra), James Genus (contrabbasso) e Justin Tyson (batteria). Il pianista suona tradizionalmente tra il gran coda e la tastiera Korg. Una apertura concettuale e intimistica, sua tipica che sfocia in attese ed eccellenti aperture sia armoniche che melodiche. Si integra perfettamente al chitarrista ed al grande trombettista. Ritmi rubati, voci amplificate, spunti psichedelici e sonorità anni Settanta confermano il suo stile complesso che produce un vero e proprio “discorso musicale” essenziale. Ciò che appare scarno è in realtà frutto di un grande lavoro di ricerca dei suoni e di un virtuosismo che non è fine a se stesso bensì funzionale e dosato al fine di ottenere un pieno coinvolgimento da parte degli ascoltatori. Nessun tono acido ed un Jazz molto attuale, o meglio attualizzato. Una modalità distinguibile e propria per pezzi altamente costruiti sia nel corso delle improvvisazioni che nella traccia di base. È proprio la grande inventiva dei brani che colpisce e la assenza di banalità, che li spinge ad essere ormai un genere proprio e di riferimento, frutto di sperimentazioni, considerazione della classicità e tradizione, ricerca e finalmente applaudita formalizzazione.
“L’artista di Chicago, oggi ottantunenne, ha attraversato, sempre da protagonista, generi e mode come performer, compositore, arrangiatore, produttore, scopritore di talenti, inventore di nuove tendenze, influencer per più di una generazione di musicisti. A 11 anni il piccolo Herbie esordì suonando un Concerto di Mozart con la Chicago Symphony Orchestra, una delle più importanti del mondo. Presto scoprì il jazz e a partire dagli anni ‘60 si impose con una serie di eccellenti dischi per la Blue Note, costellati di temi originali che sarebbero presto diventati degli standard. Nel frattempo faceva parte dell’epocale quintetto di Miles Davis che di lui disse: “Herbie è il passo successivo a Bud Powell e Thelonious Monk, e non ho ancora sentito nessuno che sia venuto dopo di lui”. I ‘70 furono gli anni del jazz elettrico e degli Headhunters, caratterizzati da uno straripante successo commerciale. Quella che aveva trovato Hancock era una formula destinata a fare da modello a decine di band. Un successo commerciale che non andò mai a scapito della qualità, perché Herbie Hancock è sempre riuscito a coniugare buona musica e appeal popolare. Anche allora però non trascurò il jazz acustico, per esempio nella serie di dischi e tour targati VSOP. In ogni caso, che fosse musica acustica oppure elettrica, jazz modale o funky, che le location fossero stadi o sale da concerto, restava inconfondibile il “tocco” geniale e personale di Hancock, sempre fedele a se stesso. In tempi più recenti Hancock ha prodotto una serie di progetti tematici, di volta in volta dedicati al mondo di Gershwin, alle canzoni di Joni Mitchell, ai nuovi standard presi in prestito dal pop contemporaneo, oltre a un tributo a Miles Davis e John Coltrane e un duo con Wayne Shorter (1+1)”.
Giuseppe Marino Nardelli- Agenzia Stampa Italia