Fabio RossiConfagricoltura Umbria, con il presidente Fabio Rossi e il direttore Cristiano Casagrande, interviene sui temi degli impianti da biogas agricoli, biomassa e fotovoltaici: "Far partecipare gli agricoltori direttamente, in forma singola ed associata, alle comunità energetiche".

Per il fotovoltaico l'obiettivo da perseguire per l'Italia è di circa 35.000 ha di superficie, con una quota proporzionale dell'Umbria che potrebbe essere al disotto di 1.000 ha (su una superficie agricola totale di 540.000): "L'impatto può essere trascurabile sia sul profilo della sottrazione del suolo alla coltivazione e quindi alla produzione, sia sul fronte della tutela paesaggistica"

(UNWEB) PERUGIA – La realtà alla quale si assiste in Italia ed in Europa da anni è quella caratterizzata dal potenziale del mondo agricolo nel contribuire in modo significativo ad incrementare e consolidare la quota di energia da fonti rinnovabili. Il tutto, nell'interesse generale dell'economia e per perseguire l'obiettivo di sicurezza energetica migliorando le performance ambientali.

Allo stesso tempo, secondo Confagricoltura Umbria, spesso le norme non hanno favorito l'agricoltura e ciclicamente voci fuori e dentro il mondo agricolo si sono scagliate una ad una contro le diverse tipologie di fonti rinnovabili mistificando e creando un clima ostile.

"Abbiamo assistito negli anni – spiega il presidente di Confagricoltura Umbria, Fabio Rossi – ai ragionamenti distorti circa lo sviluppo di impianti per produzione da biogas agricoli, sottolineando la competizione per l'uso della terra tra produzione food e produzioni no food. Dimenticando così che la politica europea, in diverse forme, spinge gli agricoltori alla "non coltivazione" di parte delle loro superfici agricole e a tecniche produttive limitatamente produttive. Poi ci siamo accorti che così non è, che questi impianti sono molto importanti anche per migliorare la gestione degli effluenti zootecnici e per utilizzare come fertilizzante ed ammendante agricolo il digestato riducendo sensibilmente il ricorso ai concimi chimici".

"Poi – prosegue Rossi – è venuto il momento degli impianti a biomassa, ovvero impianti collegati ad insediamenti produttivi e residenziali nonché strutture pubbliche che utilizzando in modo accorto sia scarti di lavorazione del legno, residui di potatura e soprattutto il materiale ligneo cellulosico anche non di pregio derivato da corretti cicli di taglio dei boschi. Anche qui, il presunto inquinamento da fumi e il rischio di distruzione delle foreste stanno rendendo difficile l'affermazione di progetti su molte aree del nostro Paese".

In merito al fotovoltaico, inoltre, sviluppato anche in agricoltura oramai da molti anni, abbiamo assistito di fatto ad installazioni su tetti e solai nonché installazione a terra sia con impianti adeguatamente inseriti nel territorio, sia attraverso la collocazione di grandi impianti di solito ad opera di grandi investitori. "Da alcuni calcoli – spiega il direttore di Confagricoltura Umbria Cristiano Casagrande – sembra che l'obiettivo da perseguire per l'Italia possa essere assolto con circa 35.000 ha di superficie, che possono essere ben calibrati tra collocazioni su solaio e tetto (parco agrisolare), secondo la modalità dell'agrovoltaico ossia collocando gli impianti in modo tale da non precludere la coltivazione e poi con semplici campi fotovoltaici a terra. Questo potenziale potrebbe essere raggiunto con una adeguata partecipazione anche al beneficio economico direttamente da parte degli agricoltori che potrebbero progettare l'uso dei propri terreni scegliendo di collocare gli impianti a terra sui terreni marginali ovvero su quelli vicini ad insediamenti produttivi e più in generale nelle aree 'ritenute idonee' avendo l'accortezza di limitare l'estensione delle singole installazioni e di fissare un tetto percentuale alla superficie agricola che ogni azienda possa destinare a tali opere".

"Anche immaginando che l'Umbria possa soddisfare una quota proporzionale al resto d'Italia – sottolinea poi il presidente Rossi – possiamo pensare di essere al disotto di 1000 ha, se pensiamo che solo la superficie agricola totale sia di 540.000 ha riteniamo che l'impatto possa essere trascurabile sia sul profilo della sottrazione del suolo alla coltivazione, sia sul fronte della tutela paesaggistica. Se si tiene pure conto che la PAC, che entra in vigore da gennaio 2023, chiederà agli agricoltori di non coltivare circa 10.000 ha sui 330.000 coltivati, è ben comprensibile che la sottrazione alla produzione non sia un tema fondato, mentre le norme regionali tese a meglio delineare i criteri di idoneità e di dimensionamento degli impianti possono ben salvaguardare l'aspetto paesaggistico".

"La domanda che quindi si fa Confagricoltura – concludono Rossi e Casagrande – è se realmente si voglia far partecipare gli agricoltori direttamente al perseguimento di certi obiettivi, superando il tetto dell'autoconsumo, con il contributo attivo degli enti locali, delle comunità energetiche, strumento che dovrebbe essere in capo all'agenda di ogni Comune. Infatti, questo livello istituzionale è quello adatto per guidare la costituzione delle comunità energetiche, per favorire l'adesione massiva dei consumatori e sostenere le imprese, specie quelle agricole ad investire e mettere in rete l'energia prodotta. Oggi in Italia gli agricoltori con gli impianti a biogas e fotovoltaici producono l'8,5% dell'energia da fonti rinnovabili con il 6% della potenza installata. A nostro avviso la partecipazione degli agricoltori in forma singola ed associata è il principale metodo per uno sviluppo ulteriore, sempre con equilibrio e rispetto alla vocazione primaria produttiva e salvaguardando il territorio".


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