(ASI) Fossato di Vico. Immaginare un futuro per un territorio devastato dalla crisi economica e messo in ginocchio dalla mancanza di lavoro. Recuperare le competenze professionali che la regione ha prodotto in tanti anni di lavoro specialistico attraverso la creazione di spazi all'interno dei quali ricollocare le persone disoccupate e che hanno diritto ad un lavoro, ex e anche non Merloni.
L'obiettivo della cordata messa insieme dal gruppo De Martino è di risolvere un problema grave che ha messo in ginocchio un indotto vasto e ricollocare quante più persone possibili attraverso un progetto industriale e sociale serio e concreto.
Carmen De Martino, manager del gruppo omonimo e capofila del progetto, da mesi il vostro progetto è sulla bocca di tutti, ma non sempre con chiarezza. Di che cosa si tratta?
È un holding industriale che fa riferimento al gruppo De Martino e si occupa di logistica su gomma e integrata che punta al recupero delle professionalità presenti nel territorio. Non intendiamo creare illusioni, ma dare serenità a famiglie che hanno sofferto molto e per troppo tempo. Compito degli industriali è garantire dignità ai lavoratori, a quegli operai che sono il patrimonio dell’azienda e contribuiscono in maniera fondamentale a rendere grande la stessa.
Quali sono state le prime azioni del gruppo e cosa state facendo?
Abbiamo rilevato il sito ex Flaminia, una grande area prima popolata di persone, mezzi, macchinari e poi abbandonata, abbiamo liberato lo stabile e lo stiamo adattando alle nostre esigenze di logistica integrata e per la produzione di elettrodomestici di ultima generazione. Il piano industriale prevede dei passi che al momento non possiamo rivelare, ma non ci sono piani segreti o illeciti. A chi dice che vogliamo bruciare biomasse basta dire che in uno stabile con cinque metri di altezza non si può neanche immaginare. Vogliamo creare lavoro e basta.
Perché avete scelto questo territorio?
Perché qui ci sono grandi risorse umane con competenze e specificità del settore. Perché vivendo qui, nel territorio, sappiamo bene quanta mancanza di lavoro ci sia. È difficile muoversi in città e incontrare persone che ti chiedono di lavorare, che sperano. Per 8 anni le persone hanno vissuto grazie agli ammortizzatori sociali, dovendo accettare la mancanza di lavoro e guardare avanti senza prospettive. Per quanto si possa ringraziare lo Stato il lavoro è necessario alle persone, come si può immaginare la propria vita dipendendo dagli ammortizzatori sociali? Questo è quello che è accaduto in questo territorio a cavallo di due regioni. Migliaia di lavoratori si sono trovati senza più nulla. Di fronte a questa situazione è dovere degli imprenditori fare qualcosa e il ruolo della politica è quello di sostenere le iniziative. Guardando in faccia queste persone, questi lavoratori, non puoi tirarti indietro e pensi che si possa ancora fare impresa.
Quali canali avete utilizzato per attingere alla manodopera locale?
Abbiamo chiesto un incontro con la lega per il lavoro per quantificare il numero di disoccupati, per avere i dati reali. Ed è emersa una catastrofe. Un intero territorio distrutto, con un tasso altissimo di persone, parliamo di diverse migliaia di persone, tantissimi senza neanche gli ammortizzatori, tra dipendenti, indotti e artigiani. Dovevamo capire cosa fare e quale alternativa dare a queste persone, attivando subito tutti i meccanismi possibili. Da questo primo interessamento si è sparsa la voce e c'è stato subito il passaparola. Le persone si presentavano e si proponevano, chiedevano, speravano. Siamo arrivati ad 8mila curriculum in 4 mesi.
Una volta ricevuto il curriculum cosa succede?
Valutiamo i profili perché non tutte le professionalità sono necessarie, ma magari possono essere indirizzate verso altri progetti, poi conosciamo le persone, ascoltiamo le loro storie con i problemi e le difficoltà. E non te ne puoi staccare più. La motivazione ad andare avanti me l'hanno data più i lavoratori che il piano industriale. Dal semplice fare impresa si passa a pensare che il piano industriale possa diventare un progetto sociale, di aggregazione sociale, di speranza. Non posso fornire i numeri, ma è nostra intenzione saturare lo stabilimento di persone e poi far girare le aziende dell'indotto e creare altro lavoro. Non siamo onnipotenti e non abbiamo la soluzione, ma è un impegno che abbiamo preso con la comunità.
In questi mesi ci sono state tante critiche al vostro operato, come risponde?
È stato detto che sono una chiacchierona, che il nostro progetto è tutto una bufala, che voglio giocare sulla pelle delle persone, poi è stato giudicato il modo di colloquiare ed è stato gettato fango sulla mia persona. Io, però, sono qui e ci ho messo la faccia e se ho fatto questo non è per prendere in giro un territorio già provato dalla crisi, non ne avrei avuto motivo. Chi fa impresa non cerca sempre e solo il business, ma può anche fare scelte etiche per il territorio. Non siamo contro nessuno, ognuno ha il suo ruolo e agisce nei suoi spazi. Mi piacerebbe che al posto di questi attacchi contro di noi e l'espressione di questi giudizi, si potesse dialogare tra tutti quelli che hanno un ruolo, istituzionale o industriale o sindacale, per rafforzare la speranza di una comunità che lavora insieme. Chi ci attacca non riflette sugli errori passati, sul fatto che sia sbagliato investire e finanziare nelle strutture nei capannoni se poi rimangono vuoti, non c'è attività che crea occupazione e opportunità. Meglio riflettere sul ruolo degli imprenditori, sulle idee, sulle partnership, creando sistema e rete.
Cosa possono fare gli imprenditori e le istituzioni?
Creare tavoli tra imprenditori per cercarsi e trovare delle convergenze tra le attività reciproche. Non si tratta di fare cartello, ma di collaborare, lavorare e non chiacchierare. Spesso, però, alcuni degli interlocutori sono sordi alle nostre richieste, eppure sempre pronti a parlare contro. Prima di giudicare quello che stiamo facendo sarebbe meglio che chiamassero, si informassero, si facessero promotori insieme con noi della salvezza del territorio e della salvaguardia delle professionalità create nel tempo. Perché gli operai e la loro manualità sono la vera ricchezza di ogni imprenditore. I nostri operai sono come un pezzo del gruppo industriale, non sono manodopera e basta. E ci vuole umiltà e coraggio da parte nostra a scendere in linea di montaggio, mettersi ad imparare e dare una mano. Noi stiamo facendo questo. Il lavoro è un diritto e noi stiamo provando a restituirlo ai lavoratori. Non abbiamo problemi ad investire, crediamo che si possano fare cose concrete con e per le persone. Tra due mesi saremo pronti per andare in produzione e già stiamo lavorando per il commerciale. Noi stiamo facendo, altri parlano. Chi vuole aiutarci, quindi, è bene accetto.