(UNWEB) Perugia– L’ingegneria, la scienza delle costruzioni, l’architettura, sono senza alcun dubbio i pilastri di ogni opera di ricostruzione di ogni tipo di fabbricato e di insediamenti urbani danneggiati da calamità naturali, come un terremoto. Ma è l’”arte”, attraverso la sua capacità di esprimere emozioni e sentimenti, che può rappresentare – e deve rappresentare - l’opportunità di ricostruire preservando, anzi esaltando, i caratteri identitari di un territorio e di una comunità.
Magari ispirandosi alla pratica giapponese del “kintsugi”, una modalità di riparazione di oggetti che nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore. E magari andare anche oltre il concetto del ricostruire dove era e come era, aggiungendoci “con ciò che c’era”, e quindi le stesse macerie prodotte dal terremoto possono tornare a vivere in nuovi edifici, tenendo insieme passato e futuro. Queste alcune delle riflessioni emerse nel corso del convegno di oggi, svoltosi a Trevi, sul tema “Arte e architettura contemporanea nel dopo terremoto”, organizzato dalla Regione Umbria e dal Comune di Trevi, insieme agli ordini professionali degli ingegneri e degli architetti, nell’ambito del ventennale del sisma del 1997.
Tema sul quale sono stati chiamati a confrontarsi Paolo Belardi, Direttore dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, Giuseppe Betori, Cardinale, Arcivescovo di Firenze e l’architetto Massimiliano Fuksas, moderati da Diego Zurli, direttore regionale della Regione. Interventi preceduti dai saluti del Sindaco di Trevi, Bernardino Sperandio, dei rappresentanti dei due Ordini professionali, e della presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini.
Ed è stata proprio la presidente Marini a sottolineare il fatto che “l’esperienza maturata in Umbria per la ricostruzione post sisma del ’97 rappresenta un contributo preziosissimo per il lavoro di ricostruzione che ci attende, a causa dei terremoti dello scorso anno. Una ricostruzione che non deve limitarsi alla riparazione del danno, bensì deve saper far rinascere i ‘volti’ delle nostre città, dei nostri antichi borghi, considerando che qui devono tornare a vivere le persone, le comunità. Un lavoro – ha aggiunto - ancor più impegnativo, se si considera che si tratta di territori che già vivevano condizioni di marginalità e di spopolamento. Dunque, l’approccio che dobbiamo avere deve essere guidato da una visione di futuro che deve sapersi calare nell’opera di ricostruzione materiale”.
Se per Belardi, il direttore dell’Accademia di Perugia “l’arte deve irrompere nella contemporaneità, così come è già avvenuto in diversi luoghi dell’Umbria interessati dalla ricostruzione post 1997”, per Monsignor Betori questa “deve innanzitutto rispettare la storia dei luoghi. E quanto invece alle Chiese – le opere che hanno subito la maggiore devastazione dai recenti terremoti – si devono tenere insieme il concetto di trascendenza con quello di immanenza, salvaguardando il principio della ‘fede’, pur in una pluralità di canoni estetici che nella nostra epoca hanno superato la rigidità del passato. Insomma, dobbiamo cercare di ricostruire le Chiese in rapporto sì con la tradizione, ma reinterpretandola. Ed è stata questa – ha detto Betori - la sfida che avevamo lanciato nel 1997 che portò alla costruzione, a Foligno, della nuova Chiesa di San Paolo Apostolo, opera di Massimiliano Fuksas”.
“Quella sfida – ha poi aggiunto lo stesso Fuksas – ci ha consentito di andare oltre l’architettura perché è stata ispirata dal sentimento dell’amore. Per me il vero ‘cliente’ finale di un’opera, come ad esempio una chiesa, è il genere umano, e l’umanità. Dunque, anche nell’opera di ricostruzione dobbiamo concentrarci sulle persone, le vittime di una calamità. A loro dobbiamo riconsegnare, anche attraverso gli edifici, fiducia nel futuro. Per quanto mi riguarda, nel darmi l’incarico di costruire la Chiesa di San Paolo a Foligno, mi avete dato una occasione grande ed unica, di cui vi sono profondamente grato”.