Natale 2015 3(ASI) Spoleto. «Tutti noi, anche quelli che forse vanno poco in chiesa o addirittura sono entrati qui per la pri­ma volta, siamo venuti a questa Messa con qualche attesa, con qualche speranza, pur se forse non sappiamo esprimerla.

È la speranza di essere riportati al nostro essere più ve­ro, di ritrovare la nostra semplicità e schiettezza originaria, quelle che abbiamo magari vissuto da bambini davanti al presepio». Con queste parole l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, ha iniziato l’omelia della Messa nel giorno di Natale nella Basilica Cattedrale, piena di fedeli. Ad inizio giornata, alle 9.00, il Presule ha celebrato l’Eucaristia presso l’Hospice “La torre sul colle” di Spoleto. La notte di Natale, invece, mons. Boccardo ha presieduto la Messa in Duomo.

A Natale si fa memoria di un Dio che prende su di sé le debolezze quotidiane dell’uomo, che condivide la sua esistenza spesso affaticata e stanca, che entra nel mistero della sua sofferenza e della sua morte. «Il Verbo si è fatto Bambino – ha detto il Vescovo nell’omelia - è diventato membro della raz­za umana, si è fatto uomo, è morto, è risorto, si fa presenza viva a ciascuno di noi. A noi è chiesto semplicemente di riconoscerlo, di aprire le braccia alla sua venuta, di acco­glier­lo con disponibilità e generosità. Per questo qualche giorno fa abbiamo aperto anche in questa Cattedrale la Porta Santa. È un simbolo che ha radici antiche. Ma la radice primaria sta nell’essere una porta che si apre per tutti coloro che cercano Dio, l’unica porta che con­ta. Mentre i potenti chiudono le porte, mentre tanti, troppi non sanno a che porta bussare per trovare casa, pane e lavoro, mentre le porte della solitudine si chiudono su troppi giovani, su trop­pi anziani, mentre infiniti dolori non sanno a che porta picchiare con il silenzio delle lacrime, il Giubileo – ha proseguito Boccardo - ci dice che la “Porta” è aperta, è vicina; non sta in un Tempio lontano, sul monte, ma vicino. La porta aperta dice quello che la fede del po­po­lo cristiano sa da sempre: non siamo figli di un Dio che sta lontano, dietro porte chiuse, raggiungibile solo a costo di fatiche disumane. Siamo amici di un Dio che ha aperto gratuitamente, che ha mandato il suo Figlio ad essere porta, a scardinare le serrature della legge, a far saltare gli alti battenti della morte. La “porta santa” - si dice -, ma è santa perché è un segno di Lui. Il rito conta, ma non è nulla se non introduce a una car­ne, una casa, una comunità, un luogo dove la vita ispirata al Vangelo di Gesù diventa ogni giorno bella e buona. Così, siamo invitati a scoprire nel Figlio incarnato il volto misericordioso del Padre e, riconoscendoci sempre di nuovo peccatori perdonati, diventare a nostra volta, singoli e comunità, come una “porta santa” che permette a chi ci accosta di scoprire e gustare la bontà, la tenerezza e la fedeltà di Dio».

Dal ricordo della nascita di Gesù deve scaturire per ciascuno una gioia intima e folgorante, certi che «il Dio della misericordia – ha detto l’Arcivescovo - non si dimentica di me, mi ama, mi rinnova continuamente la sua fiducia, mi dona se stesso nella persona e nella parola di Gesù, manifesta pienamente la sua onnipotenza quando perdona la mia miseria e il mio peccato. Se riconosciamo con umiltà e sano realismo che spesso ci allontaniamo da lui e dal suo amore considerato troppo esigente, e facciamo ritorno a lui, riceviamo conforto, perdono, speranza: poiché il popolo che è la Chiesa non è fatto di santi, di perfetti, di impeccabili; è fatto di peccatori perdonati, di vigliacchi riconciliati, di fuggiaschi ricuperati, di gente di poca fede che riceve una forza che non le appartiene. Scopriamo così di essere portatori della ricchezza di Dio, e la nostra vita riceve tutto il suo peso e tutto il suo senso, che nessuno può toglierci, da quell'amore e da quella misericordia che ci sono stati donati gratuitamente e dei quali siamo costituiti testimoni».

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