fagiolo collelungoPresente negli spazi della Mostra Mercato del Floroviviaismo dedicata alla Biodiversità, il legume è diventato il protagonista di un progetto di recupero. Ricchissimo di proteine e di fibre, il fagiolo di Collelungo è un esempio di come la tutela della biodiversità può offrire occasioni di crescita alle piccole aziende agricole.

(ASI) TODI - Coltivato sin dai tempi remoti in un areale non molto esteso e ricco di acqua, il “fagiolo dall’occhietto di Collelungo di Baschi” si candida a diventare l’ennesima sorpresa agroalimentare che l’Umbria dei piccoli borghi spesso riserva agli appassionati di cose buone.
Complice la modernità, entrata nelle case sotto forma di scatolette e surgelati, il legume si è pericolosamente avvicinato sull’orlo dell’estinzione. Se negli orti di Collelungo qualcosa è rimasto lo si deve alla tenacia dei più anziani i quali, avendo avuto modo di apprezzarne le qualità, non hanno voluto rinunciare alla dose supplementare di piacere assicurata dalla delicatezza del gusto e dagli aromi, esaltati dal più semplice e più umbro dei condimenti: l’olio extra vergine d’oliva.

Luigi Frassineti, vivaista e coltivatore tuderte ma anche Presidente di VerdeTodi, associazione che da nove anni organizza in collaborazione con l’Amministrazione Comunale “Todi Fiorita”, scopre questo fagiolo nell’orto dei suoceri a Collelungo e se ne appassiona. Il lavoro di ricomposizione quantitativa della coltura è laborioso: la disponibilità di semi è limitata e poi bisogna studiare le modalità di coltivazione più adatte le sensibilità della pianta ai patogeni, le possibili sinergie con altre colture. Oggi, finalmente, la prima parte dell’operazione di recupero può dirsi compiuta. Due i passi che restano da fare: reintrodurlo nel suo areale d’origine e convincere agricoltori e ortolani della qualità e della redditività del legume, così da diffonderlo nell’areale di elezione fino a raggiungere una certa stabilità produttiva.

Ma cos’è il “fagiolo dall’occhietto di Collelungo”? A differenza delle tipologie più diffuse, originarie delle zone del centroamerica, questa varietà (Vigna unguiculata) proviene dall’Africa, probabilmente dalla Nigeria. Viene chiamato “dall’occhio” per via di un piccola cerchiatura nera (a forma di occhio) in corrispondenza dell’ilo.
Per secoli è stata l’unica varietà coltivata in Europa: nota ai greci e ai romani, ebbe un’ampia diffusione nel medioevo. Con l’arrivo dei fagioli del Nuovo Mondo, più produttivi e più adatti a coltivazioni intensive, è stata confinata in zone sempre più piccole.
Rispetto ad altri analoghi fagioli dall’occhio, quello di Collelungo di Baschi vanta specificità proprie: un rilevante contenuto proteico (quasi il 26%) e un’alta percentuale di fibre. È leggermente più grande di quelli usualmente commercializzati e non richiede lunghi tempi di ammollo. Un tempo aveva molti estimatori a Terni, dov’era reclamato a gran voce nei mercati cittadini.

Il “fagiolo di Collelungo” sarà uno dei prodotti al centro dello spazio dedicato alla biodiversità allestito in occasione da Todi Fiorita, mostra-mercato del florovivaismo specializzato in programma dal 20 al 22 maggio 2016. E vorrebbe essere non solo un buon esempio di una sempre più necessaria etica della sostenibilità ma anche un punto di partenza di un progetto di ricomposizione del paniere locale di prodotti agroalimentari per garantire una prospettiva di reddito alle piccole aziende agricole del territorio.


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