Bori8Il capogruppo del Partito democratico, Tommaso Bori, intervenendo in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, che si celebra oggi, rimarca come “parallelamente a quella da Covid 19, non dobbiamo dimenticare una seconda pandemia che non accenna a fermarsi, quella del virus dell’Hiv”. Per Bori “è fondamentale che tutte le Istituzioni facciano il massimo per raggiungere la fine dell’emergenza sanitaria da Aids entro il 2030, anche attraverso un forte investimento in educazione e formazione”.

 

(UNWEB) Perugia,   “Parallelamente a quella del Covid 19, non dobbiamo dimenticare una seconda pandemia che non accenna a fermarsi, quella del virus dell’Hiv”. Così il capogruppo del Partito democratico, Tommaso Bori, in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, che si celebra oggi.

“Stando ai dati diffusi dal programma delle Nazioni Unite, Unaids, i nuovi infettati da questo virus, nel 2019, sono stati 1,7 milioni che si sono andati ad aggiungere ai 38 milioni che già ci convivevano, di cui 36,2 adulti e 1,8 bambini fino a 14 anni. In Italia – spiega il capogruppo Dem - 2.500 diagnosi l’anno, più che altro nella fascia d’età tra i 25 e i 29 anni. Un numero che si attesta a 4,2 nuovi casi per 100mila residenti. L’Italia, in termini di incidenza delle nuove diagnosi Hiv, si colloca lievemente al di sotto della media dei Paesi dell’Unione europea (4,7 casi per 100mila residenti). Dati complessivamente terribili, ma che comunque segnano una controtendenza rispetto al picco raggiunto nel 1998, quando i nuovi contagi furono 2,8 milioni”.

“In questo contesto di calo di contagi, in flessione sono anche gli stanziamenti - osserva Bori – il tutto aggravato anche dalla pandemia da Covid. È fondamentale dunque che tutte le Istituzioni, siano esse sovranazionali, nazionali o locali, facciano il massimo per raggiungere la fine dell’emergenza sanitaria da Aids entro il 2030, anche attraverso un forte investimento in educazione e formazione”.

“Il lavoro delle Istituzioni e della società – conclude Bori - dovrà essere quello di rompere lo stigma sociale che si crea intorno ai malati. Un muro di emarginazione ed esclusione da abbattere, come fece l’immunologo Fernando Aiuti nella celebre foto in cui bació una paziente sieropositiva per dimostrare le false teorie sulla trasmissione del virus”.


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